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MICHELINO, IL GATTO EREMITA

Post n°186 pubblicato il 27 Giugno 2011 da donnavittoriana

MICHELINO, IL GATTO EREMITA

..come tanti di voi sapranno adoro i gatti, dunque vi propongo questa malinconica storia tratta dal vew, ingentilita con immagini divertenti per sembrare più leggera!!

buona lettura


Michelino è un gatto che abita in un santuario nelle vicinanze di un paese di montagna. La sua vita si svolge tra le macerie della canonica, una legnaia e il bosco in mezzo al quale è annidata la chiesa di San Michele, l’Arcangelo armato che sconfisse gli angeli ribelli e li fece precipitare dal cielo che volevano conquistare. Michelino non sa queste cose e non sa nemmeno di chiamarsi Michelino. Lo chiamo con questo nome per ricordare il luogo dove l’ho incontrato per la prima volta. Lo vidi uscire da un cespuglio mentre visitavo la chiesa dedicata al santo guerriero che, nei secoli scorsi, era apparso vicino a una sorgente ora incorporata nell’edificio sacro. Al mio richiamo si avvicinò miagolando con discrezione: non intendeva chiedere nulla, perché d’estate la folla dei pellegrini è tanta e tanto il cibo, ma la solitudine sembra chiudere il bosco e la montagna in una muta spelonca e gli incontri che Michelino fa sono sempre diversi e non riesce a legare il suo affetto a nessuno.

 

 

Si avvicinò, dunque, Michelino; si fece accarezzare e cominciò a ronfare delicatamente, ad occhi chiusi. Era un maschio bianco e nero, robusto, con occhi un po’ velati; ma i suoi pensieri erano leggibili e chiari e raccontavano una storia dove l’uniformità degli avvenimenti si spezzava con l‘ultimo sole d’autunno e si faceva drammatica con le prime piogge e le nevicate che seguivano. All’apparire delle nebbie, infatti, i pellegrini scomparivano e veniva meno il cibo che la moltitudine abbandonava sul prato dopo la colazione a sacco. Ma il gatto si rammaricava di ben altro: dell’assenza delle voci, del clamore dei giovani e dei bambini. In quanto al cibo, infatti, alla meno peggio se lo procurava con la caccia o mangiando quello che il parroco lasciava quotidianamente in una ciotola posta sotto alcuni alberi. Qualche volta, tuttavia, doveva digiunare più di un giorno perché il cattivo tempo non sempre consentiva di raggiungere la chiesa.

Aveva imparato ad aspettare Michelino, senza lamentarsi, perché da tempo aveva capito che il suo destino era l’attesa e basta.

 

 

 

Nella catalessi delle interminabili giornate invernali Michelino, per farsi compagnia, ricordava: entrava nel sogno del suo passato e si rivedeva, molto piccolo, in compagnia di molti suoi simili. In particolare ricordava una gattina di pelo rosso alla quale leccava il collo e le orecchie e ne riceveva in cambio altre dolci attenzioni. Poi ricordava il giorno in cui era stato portato al santuario dentro una cesta. L’uomo che l’aveva portato con sé era un eremita che si stabilì nella canonica ora cadente. Gli inverni trascorsi con lui erani stati sereni: se ne stava in silenzio vicino al focolare a guardare ora le fiamme ora la brace.

Ogni giorno l’eremita lo portava nella chiesa fredda e disadorna dove la sorgente miracolosa gorgoliava e parlava alle pietre e alla sua piccola anima spaurita. Stando su una sedia egli osservava il monaco in ginocchio, ne udiva i sospiri e le parole sommesse rivolte alla statua dell’arcangelo. L’arcangelo e l’eremita erano per lui la stessa cosa, anche se questi non aveva ai suoi piedi il drago e nella mano la lancia minacciosa.

 

 

 

 

L’eremita andava in chiesa, per le sue preghiere, più volte la giorno. Lui lo seguiva quasi sempre, gli si accoccolava vicino e aspettava che decidesse di tornare al tempore della casa. Qui si permetteva di stare sul tavolo mentre l’uomo sfogliava libri polverosi e riempiva grandi fogli con segni incomprensibili. Spesso quell’uomo abbandonato gli rivolgeva parole affettuose, lo carezzava e divideva con lui il suo pasto.

 

 

 

Un giorno d’estate, mentre era a caccia nel bosco, accadde qualcosa di inspiegabile: l’uomo scomparve e solo alcuni giorni dopo tornò ad avvertirne la presenza nella chiesa, tra una grande folla. Sentì che il suo amico era chiuso in una cassa, ai piedi dell’altare dove aveva tanto pregato.

Lo accompagnò per l’ultima volta, lungo il sentiero sassoso, insieme al lungo corteo.

Dopo quell’episodio, cominciò per Michelino la solitudine vera, tetra, senza fine; e si rese conto che la sua vita era cambiata.

 

 

 

 

 

Alle prime nebbie si rintanò in un angolo della casa deserta passando attraverso il vetro rotto di una finestra e si accontentò del poco che gli portavano e del poco che riusciva a procurarsi. Il primo inverno fu avvolto da una continua sonnolenza, e mentre fame e freddo lo tenevano immobile nel suo rifugio, cominciò a richiamare tutte le immagini della sua vita. Una vita semplice, eppure ricca. Michelino la riviveva volentieri e si sentiva meno solo e disperato. Ad esempio, delle stradine del paese dove era nato, ripercorreva certi vicoli in penombra e contemplava, come fossero lì presenti, i tetti su cui aveva avuto la fortuna di avventurarsi tante volte: erano tetti sconnessi con ciuffi di erbe grasse sotto le cui tegole aveva sentito, con meraviglia, il pigolio dei passeri e il fruscìo rapido dei rondoni. Di lassù aveva avuto la possibilità di spingere lo sguardo fino alla linea azzurra dell’orizzonte, e aveva visto altre case e boschi sterminati.

 

 Ma dal suo angolo buio richiamava anche il profilo elastico della sua compagna di giochi. Il desiderio di rivederla divenne così forte che una sera, mentre la luna pendeva sugli alberi più alti che circondavano il santuario, avvertì un odore di muschio e di viole salire dalla terra: uscì fuori e vide – proprio vide – una nuvoletta luminosa impigliata ai rami pieni di germogli della siepe che disegnò nell’aria, per un attimo, la sagoma della gattina amata. Michelino guardò con attenzione, poi si mosse verso la compagna con passi cauti e timorosi. Ma la sua visione oscillò e disparve, lasciandolo attonito e sconvolto.

 

 

 

 

Ora Michelino trascorre il suo tempo contando le stagioni senza attendersi né buone né cattive sorprese e con i suoi rari miagolii ripete più a sé che ai visitatori che egli è vivo.

Perché Michelino è vivo, non è un gatto inventato per raccontare una storia. Michelino è vivo come me che scrivo quel che mi ha detto con lo sguardo e con la voce triste e rassegnata. Egli non sa cosa sia il destino, ma sente pesare sulla sua esistenza una grande ingiustizia. Questo mi dice quando vado a trovarlo; ed è lui che mi fa compagnia e mi consola, perché sa che nel mio cuore porto il suo stesso peso.

Ci vediamo spesso io e Michelino, ma non quanto vorremmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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