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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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EDS i miei cinque cents e molto altro ancora

Post n°760 pubblicato il 11 Giugno 2013 da LaDonnaCamel
 

"Raccontiamo quello che vediamo, dice la regola, e noi vediamo quello che sta alla luce: dunque è la luce che scrive, noi siamo la pellicola che si impressiona. La luce modella il paesaggio, dà forma ai volti dei personaggi, passa sulle cose e le offre agli occhi. Come gazze ladre siamo attratti dai dettagli luccicanti: luccicano le trote nel grande fiume, luccicano le asce sulle spalle degli indiani, luccica la mostrina del soldato che passa con la sua ragazza nella notte, prima di dileguarsi nel buio. Di qua c’è un lampione, un bar all’aperto, l’ultimo cliente ubriaco, un cameriere che ha fretta di chiudere e l’altro no, perché è anche lui di quelli che non vogliono andare a letto; per loro«un posto pulito, illuminato bene» è tutto quello che serve per superare la notte, e arrivare sani e salvi all’alba."
Paolo Cognetti, nella sua rubrica fissa su Minima e Moralia, qui

Lo sanno tutti che considero Paolo uno dei miei piccoli maestri, non è strano quindi che voglia cominciare questo post con una sua citazione. L'articolo è uscito stamattina, è attuale e perfetto per parlare della vista, sembra che ci siamo messi d'accordo. Non l'abbiamo fatto e sarebbe stato d'aiuto per l'eds: la storia delle tre luci, per esempio.

Prima di passare in rassegna i singoli pezzi con le mie solite, sconsiderate annotazioni vorrei lanciare subito, senza por tempo in mezzo, l'ultimo esercizio della serie dei sensi: dopo il gusto e l'udito, l'odorato, il tatto, la vista voglio che parliamo del sesto senso.
Esiste o non esiste? Coincidenze, serendipità, baguanate new age, fatti strani e inspiegabili ai confini della realtà, ma con misura, mi raccomando. Delle volte la magia di un momento è data da cose molto materiali: un aperitivo sulla spiaggia davanti a un tramonto strepitoso, la nebbia che attutisce i suoni, lo stordimento di un fatto imprevedibile, un sorriso ricevuto o regalato che svolta la giornata.

Racconta una cosa che non sai definire.
Entro il 24 giugno a mezzanotte.
Non usare mai la parola che.


Poi facciamo l'ebook.
Ci sto lavorando, sto raccogliendo i racconti, anche le mie introduzioni e i miei commenti. Sto mettendo tutto in fila, lo impaginerò e poi lo farò girare tra noi, tra quelli che hanno partecipato. Non vorrei fare un editing spinto, il bello degli esercizi è anche questo, si deve vedere il lavoro che ci sta dietro, i progressi fatti.
I refusi li tolgo, ma il resto lo lascio.
Durante questo intertempo, cioè fino al 24 giugno, oltre a quest'ultimo eds sul sesto senso accetterò anche ripensamenti su gli altri cinque sensi: se hai voglia di scrivere un esercizio che risponda ai requisiti, questo è il momento giusto. I link ai bandi stanno sulla colonna a sinistra.

E ora, a noi.

Cuncittina
Quando trasii nella stanza tutto era loddo di sangue.
Era come se ci avissero gettato una sicchiata per fare le pulizie del pavimento e ora a terra era tutto vagnatu che io ci camminavo sopra e le mie scarpe ci lasciavano le impronte.
Ero con Vincenzo che mi aveva chiamato lui al telefono:
"Curri! Curri!" mi aveva detto "Cuncittina non apre alla porta e io ho la sensazione che sia successo qualcosa di lariu"
Cuncittina era stata la nostra prima fimmina.


E in questa frase sta il mistero, il fascino del racconto e il modo in cui Dario ha risolto l'esercizio. Ciascuno di noi è una persona diversa a seconda di chi ci accompagna, perché rispondiamo agli stimoli, risuoniamo alle stesse note, toni e semitoni, reagiamo come composti chimici al catalizzatore. Ma lui l'ha detto in modo molto più poetico.

Dove una madre
Il grido si diffuse nell'aria cavalcò schegge impazzite di dolore e trafisse l'anima di un milione di milioni di madri disperse per il mondo ma unite in un sodalizio mesto e rabbioso violento e conclamato svegliando pizzicando graffiando strappando accarezzando cuori e vite altrimenti liberi di pulsare e snodarsi dentro e attorno a un tutto ma adesso solo in questo vuoto in questo buco buio e sfrangiato dalla morte di un bambino in questo riconoscibile attimo si dibatteva il grido sovvertendo scienza e natura per come doveva essere ma non era.

Questo racconto prende il lettore e lo sbatacchia sulla pietra come facevano una volta le lavandaie con i panni. Patapim e patapum e scic e sciac. Botte e secchiate d'acqua gelida. Ti lascia senza fiato, e non solo per la disposizione ritmica. Ho provato a leggerlo a voce alta: questo non è propriamente un racconto ma una specie di poema epico in versi sciolti senza gli a capo, le pause vengon fuori da sole nei punti dov'è più naturale, dove è necessario, dove la gola chiama il respiro anche se cerchi di resistere, le parole rotolano avanti in discesa e corrono e colpiscono sbattono patapim e patapum e fanno male.

Trasposizione di un amore
La pubblicità è alla base di tutto, saper vendere il proprio prodotto è essenziale, anche la salute  ha bisogno di pubblicità , spesso il paziente non lo sa è a questo che serve il marketing.
Faccio parte di uno studio associato di psicoanalisti  da dieci anni, io e altri tre soci dividiamo spese e cavilli vari cercando di dare allo stato non più di quanto gli è dovuto, guadagnando quel tanto che ci permetta di avere una villa in collina che non ha nulla da invidiare a quella del chirurgo plastico che ha lo studio nel principato di Monaco.


Che ce l'hai con me? ho pensato. Psicanalisti a Milano. Ma no, non è così che facciamo, dai. Non può avercela con me, forse nemmeno lo sa che faccio quel lavoro. Faccio la psicanalista a Milano ma non spartisco i casi clinici con i colleghi, non li spartisco con nessuno. Sono molto riservata. Poi, magari fosse così facile, magari fosse così veloce: diagnosi e tac tac, quattroequattrotto. Però la fantasia galoppa e va lontano, ciò non è male, è una speranza e sarebbe bello se fosse possibile.

Foto di classe
Un cimelio emerge dall’album rilegato; un’immagini stampata su carta impressionabile. La fotografia porta la data del 1983 e vede un gruppo di studenti di terza media allineati in posa davanti alla scuola. La maggior parte di loro è sparita dalla mia vita quell’anno, alcuni li ho incontrati per il mondo, fugacemente, casualmente.

Di questo racconto mi ha colpito l'accuratezza, il ritmo, la musicalità della scrittura: sembra quasi che le parole siano scelte per il suono, e la suggestione di questa cantabilità del testo è quasi più forte della storia, che  pure c'è, nascosta tra le righe.

Il fazzoletto bianco
Sono nato a Buenos Aires nel 1977. Quando ero piccolo, non passavamo mai da Plaza de Mayo il giovedì pomeriggio. Mia madre preferiva allungare di molto la strada pur di non trovarsi in mezzo a “quelle”, così le chiamava con le amiche. Lei credeva che io non me ne accorgessi, ma intuivo, senza capirlo, che c’era qualcosa di strano.

Quando una storia si riallaccia alla Storia si crea un cortocircuito di sentimenti, quelli portati dal testo e quelli che ci portiamo dentro noi che leggiamo, e ricordiamo. Le nostre esperienze dei fatti vengono fatte rivivere dai fatti del racconto. E così i punti di vista si moltiplicano, le inquadrature aggiungono senso, l'immaginazione si unisce alla verità e ne percorre vie inesplorate.

Povero Edipo
Era lei, e non era lei.
A prima vista, era lei senza dubbio. Sua l’acconciatura severa, la fierezza del collo e delle spalle, la regalità delle mani intrecciate in grembo; e suo il pallido zinco degli occhi.
Ermanno Sigismondi, sessantenne azzimato e celibe, per l’occasione nel suo completo primaverile grigio con la fascia nera da lutto ancora al braccio, studiava il ritratto di sua madre provando un sottile smarrimento.


Meno male che c'è Melusina a conservare quelle parole desuete ma precise che nessuno usa più, e a sciorinarle, spolverate e lustre come se fossero nuove di fabbrica. Io li adoro questi tuoi personaggi che stanno un po' ai confini, border line si direbbe, disadattati che fanno tenerezza, sgomenti per una specie di ingenuità che li rende incapaci di comprendere il mondo che cambia, inadeguati e mai arresi. Questo in particolare è bellissimo, più amaro del solito ma più realistico e per questo più grande, nella sua debolezza, più tridimensionale per la sua ambivalenza, che pure cerca di nascondere. Non si può avere sempre il lieto fine, meglio la verità. Delle volte. Credo.

I peli sotto al naso
Io calabrese retrograda, sottomessa alle figure maschili quali padre e marito, e anche fratello, che per fortuna pur se più piccolo di me ha saputo presto assumere il suo ruolo di controllore e guida.
Io con tre palmi di peluria sotto il naso, con la gonna sotto il ginocchio, io che non rivolgo parola ai maschi per strada e cammino con lo sguardo basso.


Qui si gioca con il paradosso, ma spingendo fino ai confini c'è il rischio di non allontanarsi troppo dal vero. Questo è un testo che mi spaventa. Non era per l'eds, ce l'ho tirato dentro io e quindi non prendetevela con Lillina, non è stata lei a scrivere troppo. Però ci sta, e fa il suo servizio.

L'amore informale di due anime in guerra con se stesse
- Commetto un altro errore scrivendoti qua, sarà l'ultimo.

Riporto il commento che avevo scritto a caldo, di getto: ciascuno porta il suo peso. Anche questo è un bel testo, lo sento molto partecipato, animato da una immedesimazione forte e questo è anche l'effetto che fa ai lettori. Non posso che ripetermi nel lodare i tuoi miglioramenti, ogni volta superi te stessa. Brava!
Lo penso ancora e lo ribadisco, e se qualcuno dice che è troppo letterario io rispondo mammeglio! Lillina ha perfino fatto pace con le virgole!

Il fotografo
Infine era arrivato. Aveva fissato la macchina fotografica sul cavalletto e agitando il braccio destro li aveva messi tutti in fila. I sette fratelli in piedi, i genitori davanti seduti sulle seggiole di paglia con in mezzo Giannino, il figlio piccolo.

Due fotografie seppiate, si vedono le rispettive inquadrature, il contrasto, i punti luce e le ombre messe sapientemente a dare risalto al soggetto, la composizione dei particolari, il taglio, la grana della carta. Sono foto scritte ma le vediamo come se fossero incornciate sulla parete della camera da letto. I matrimoni sono la palestra del fotografo, me lo diceva mio papà che era un dilettante con velleità, ai bei tempi della pellicola.

Io parlo con le nutrie e le nutrie parlano con me: poi dico border line...

(Il gioco di parole nel titolo è voluto)

 
 
 
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