Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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Quanto a me

Post n°608 pubblicato il 25 Giugno 2012 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Dedicato all'amico MaiMaturo.

Quanto a me, ho sempre aspettato di diventare grande.

 

Quando andavo a scuola avevo l'abitudine di passare sotto un cartello stradale. Il cartello, anzi la serie di cartelli, per essere precisa, era avvitata alle estremità su due pali. Erano cartelli di metallo serigrafato, di quelli che finiscono a freccia, c'era scritto Como, e poi Varese, Aeroporto di Linate e poi non so, non mi ricordo tutte le città indicate. Erano posizionati uno sotto l'altro con un piccolo spazio che li separava, come le traversine di un treno che va verso il cielo, posto che i pali fossero i binari. Mi ricordo il punto preciso, la via e l'incrocio, non lontano da casa mia, il quartiere dove abito anche adesso.
Andavo a scuola senza fretta, guardavo spuntare i fiori nei giardini delle villette oppure guardavo i mucchi di foglie colorate che si accumulavano negli angoli, o la brina che trapuntava i prati, i boccoli di ghiaccio che pendevano dai rami come decorazioni da alberi di natale. Arrivata nel punto dei cartelli passavo sotto, non potevo farne a meno, era come un rituale o una abitudine, non ci pensavo nemmeno più. Delle volte non ci si fa caso, sui percorsi abituali si cammina - o si guida - senza pensare alla strada da fare. Si pensa ai fatti propri o si notano i colori del cielo, la riga bianca lasciata da un aereo, il profumo del glicine (chissà perché adesso non ci sono più tanti glicini nei giardini, hanno messo il gelsomino che è bello e profumato ma nasconde tutto, fa siepe fitta, mentre il glicine vuole salire, con quei suoi rami contorti che si avvoltolano sulle inferriate, e lascia ai passanti l'agio di guardare dentro: un piccolo prato tagliato con cura, un tavolo di ferro battuto con le sue sedie bianche intorno, un triciclo abbandonato sul sentiero di sassolini, la cuccia del cane in un angolo protetto. Giorno dopo giorno, senza nemmeno farci caso, dai piccoli oggetti che c'erano o non c'erano si poteva farsi un'idea degli abitanti di quella casa, se c'erano bambini o anziani, si capiva anche dal colore dei panni stesi sui fili messi apposta) ma col gelsomino non si vede niente, si sente solo il profumo e basta.
Io abitavo in un palazzo, al sesto piano. Avevamo sì un bel terrazzo, c'erano anche i gerani di mia madre tutto intorno, ma era assolato, in estate non si poteva stare. Quanto mi sarebbe piaciuto vivere in una villetta, con magari un albero grande sul retro e un ramo sporgente al quale legare un'altalena. Certe avevano il tetto a punta e un abbaino rotondo a forma i oblò, mi immaginavo come potesse essere giocare a nascondersi con i miei fratelli in un posto così, pieno di nicchie e di cantine, la baracca per gli attrezzi, il cortile di cemento con i ciuffi d'erba che crescono nelle crepe e il muschio sul muretto all'ombra: stavo le ore a guardare attraverso i cancelli delle mie preferite, quelle con la glicine sulle inferriate e le rose rampicanti intorno al portoncino.
Erano finite le vacanze, forse era ottobre e il primo giorno di scuola, forse era gennaio appena passata la befana, questo ora non lo so più, so solo che camminavo baldanzosa sulle rotaie metaforiche del mio tragitto quotidiano quanto ho sentito un colpo fortissimo sulla fronte che mi ha sbattuta indietro, facendomi perdere l'equilibrio. Mi sono anche spaventata, devo aver chiuso gli occhi, devo aver pensato che qualcuno mi aveva dato una botta in testa, forse un ladro, un malintenzionato che mi voleva rubare la cartella. Ma non c'era nessuno, proprio nessuno lì vicino, c'erano solo i cartelli contro cui avevo picchiato. Dev'essere stato che durante le vacanze ero cresciuta e non ci passavo più. Ero diventata grande? No, non ero diventata grande. Proprio in quell'estate, o in quelle vacanze di natale, la mia vicina di casa era diventata signorina, come si diceva a quei tempi là. Mi aveva anche fatto vedere il sangue sulle mutande, una macchia scura che a me veramente era sembrata altro, sei sicura? le avevo detto. Certo, mi aveva risposto, dandosi anche un po' di arie. Quella cosa lì sicuramente voleva dire diventare grande, l'aveva detto anche la nonna, picchiare contro i cartelli no, picchiare contro i cartelli voleva solo dire diventare alta.
Poi successe anche a me, il sangue nelle mutande intendo, ma devo dire che non mi è sembrato di diventare grande come la mia vicina, del resto lei è sempre stata più grande di me e quando si parte in vantaggio non c'è modo di arrivare a pari.
Dopo mi sono successe tante altre cose, mi sono diplomata e sono diventata maggiorenne, ma dovevo ancora chiedere a mio padre il permesso per uscire, per esempio, di certo non ero diventata grande, o comunque non abbastanza.
Quando mi sono sposata ho pensato, stavolta sì che sono diventata grande. Però non ci credevo veramente, mi veniva da ridere: ho riso tutto il tempo e anche mio marito rideva. Ridevamo molto quella volta, ridevamo sempre. Ci sono cascati, hanno creduto che fossi grande e invece.
E i figli? avere i figli ti avrà ben fatto diventare grande, dirai. Mavà! Potevo giocare quanto volevo con due bambole vere come avevo sempre sognato e nessuno che avesse niente da obiettare. Li vestivo, li spogliavo, gli davo la pappa e mi sono molto divertita, più di tutto.
Sono ancora qui che aspetto, non c'è modo di saperlo, di avere una conferma ufficiale. Tutti i riti di passaggio ai quali mi sono sottoposta non sono serviti a niente, ero sempre la stessa, dopo.
Ci sono persone che hanno queste sicurezze, come la mia vicina o anche come era mia nonna. Mia nonna sapeva come si devono fare le cose, per lei c'era solo un modo. Lei era sicuramente grande, mia mamma non è mai riuscita a diventare così grande, per esempio, anche se adesso è molto più vecchia di come era mia nonna, mi sembra stia diventando più piccola di prima.
Io tra poco avrò l'età di mia nonna e non so se dovrò aspettare ancora oppure lasciar stare.
Se almeno ci fosse qualcuno che me lo sa dire.

__________

Questo racconto partecipa all'eds Attesa come anche:

Speakermuto - Ti aspetto
Melusina - God save the Queen
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Firulì firulà - Tu come stai
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Dario - Ombre di fiori sul mio cammino
Chiagia - In attesa 
Melusina (bis) - Notte prima degli esami
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