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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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4maggio

Post n°561 pubblicato il 20 Febbraio 2012 da LaDonnaCamel
 

Ho udito una voce dolce e compita mormorarmi all'orecchio queste parole soccorritrici:
"Tenga duro, signorina".
Nello stesso tempo mi sono sentita mettere nella mano rimasta libera un oggetto che aveva la rigidità di una sbarra d'acciaio e la morbidezza del velluto. L'ho afferrato convulsamente e pur stupita che quella ringhiera rimanesse tiepida malgrado la tramontana che soffiava come se fosse ancora inverno, ho potuto, grazie al suo aiuto, raggiungere sana e salva
il piano terra del dipartimento.
Meno male che ho trovato quell'appiglio improvviso (che poi è sparito come un'ombra in una folata di vento, tanto che non ho avuto nemmeno la prontezza di dire grazie). E meno male che quella sconosciuta collega aveva appena finito di inserire il testo del bando, con il mio fattivo contributo, prima che il monitor diventasse tutto nero e i neon dell'ufficio e del corridoio smettessero di ronzare tutti insieme e precipitassero l'intero edificio nel buio pesto come fossimo tornati alla civiltà preindustriale.
Io ho una tremenda paura del buio e questo blackout il primo giorno di lavoro è stato terribile, trovarmi da sola sulla scala esterna anti incendio, scendere a rottadicollo quei gradini scivolosi coi tacchi del dodici, il rischio di inciampare e di incrinarmi qualche osso indispensabile alla deambulazione, diventando storpia o peggio.
E meno male che avevo preso tutte quelle lezioni di inglese dallo zio Maurizio, che veramente zio biologico non è, ma conosce a menadito tutte le pieghe della lingua di Albione e me le ha infilate un po' dappertutto.
Così ho potuto fare una buona figura: io, un'umile stagista vergine - in quanto senza esperienza di lavoro, ho risolto un problema e di certo mi sono messa in mostra.
Chi l'avrebbe detto alla mattina, quando mi sono presentata in segreteria di facoltà? L'impiegata al bancone, una vecchia sulla trentina, faceva finta di non vedermi, io le spingevo sulla scrivania il foglio di assegnazione all'ufficio e lei ci metteva sopra altre pratiche, fotocopie, bigliettini gialli. Ho dovuto toccarle il braccio per farmi notare e lei è trasalita, ha avuto un fremito e mi ha guardata da sopra gli occhiali, come se mi vedesse per la prima volta.
"Cosa vuoi tu?" mi ha detto.
Le ho spiegato che ero lì per lo stage "Da stamattina alle otto e trenta, come indicato nel foglio di convocazione. Le risulta?"
Non le risultava.
Poi sono arrivate le altre ragazze, tutte precarie ma non vergini, chi alla seconda chi alla terza proroga. La mia capa signorina Rosanna, ovvero colei alla quale sono stata assegnata, è una contrattista annuale. Mi ha insegnato per prima cosa come funziona la macchina del caffé, illustrandomi l'uso della chiavetta ricaricabile assegnata solo agli impiegati assunti a tempo indeterminato e a un numero limitato di docenti.
Il criterio di assegnazione è un mistero. (Forse lo scoprirò presto. Se conquisterò la sua fiducia potrebbe anche dirmelo).
"Siediti lì e guarda tutto quello che faccio" mi ha detto.
"Devo andare in un posticino" le ho detto dopo sette ore. Lei non ha dato segni d'intesa. Ho aspettato, per un po', posando il peso da un piede all'altro. Niente.
Senza far rumore sono uscita dalla stanza. Sicuramente il cesso stava dietro una delle venti porte che si affacciavano sul corridoio. Oppure dietro l'angolo in fondo. O dietro l'altro angolo.
Stringendo le gambe mi avvicinavo a una porta e se era socchiusa sbirciavo dentro. Vuota. La seconda: vuota. Se era chiusa appoggiavo l'orecchio. Silenzio. Provavo la maniglia: chiusa. Poi vuota. Vuota. Poi l'orecchio: voci. Risate soffocate. Respiro affannato. Maschio: "Dai apri." Femmina: "No, da questa parte no." Maschio: "Su non fare tante storie." Femmina: "Ti ho detto di non entrare di lì."
Oh, eccolo. Pensavo che ci fossero gabinetti separati per i maschi e per le femmine e invece qui devono litigare per usare l'unico che c'è.
Stavo per mettere la mano sulla maniglia quando mi sono sentita toccare di dietro. Mi sono voltata di colpo e un tizio tutto rosso in faccia si è scostato, "cosa fa?" Mi ha fatto, mettendo le mani dietro alla schiena. "Cosa fa lei," gli ho fatto io. "Ha un appuntamento?" mi ha fatto ancora lui, guardandomi dalla testa ai piedi. "Per cosa?" ho detto io, premendomi il ventre con le mani. Cominciavo a spazientirmi per la burocrazia di questo ministero.
"Per vedere il dottore," ha soggiunto lui solennemente,  indicava col dito la porta.
Che dottore, ho pensato, per una pisciata? Ma non ho detto niente. Ho alzato il mento e l'ho guardato con aria sprezzante. Di solito funziona. Lui ha continuato a guardarmi con le sopracciglia corrugate. Io ho sostenuto lo sguardo. Si è aperto l'ascensore. Lui, camminando di fianco, senza staccare gli occhi da me è entrato. L'ascensore è partito.
Sono andata avanti. Una porta aperta e delle persone dentro. Non era il gabinetto. C'erano solo due scrivanie e due ragazze al computer. Sono entrata, forse lo sapevano loro dov'era. 
"E come lo traduco pecorino?" ha detto la bionda.
"Bo?" ha risposto la mora.
"Pecora si dice sheep, sarà little sheep?"
"No, no!" sono intervenuta io prontamente, "questa la so, si dice doggy style."
Le due hanno alzato la testa contemporaneamente.
"Sapete dov'è il cesso?" ho chiesto.
"Sei sicura?" ha detto la mora grattandosi dietro l'orecchio con una biro.
"Certo. È una delle parole che mi ha insegnato mio zio Maurizio, che è madrelingua. Mi diceva sempre take this cock in doggy style perché gli piaceva l'uovo col pecorino.
"Ah, grazie. Allora scrivi From sheep to Doggy Style, traceability of milk chain in Tuscany."
La bionda tippettava concentrata. La mora si grattava. Io saltellavo.
"Scusate, il cesso più vicino?"
"Fatto e salvato." Ha alzato la testa, mi ha vista che mi contorcevo piegata i due e mi ha indicato col dito una porta all'interno dell'ufficio.
Che sollievo ha avuto la mia anima (immortale), ancora un po’ e facevo una brutta figura.
Dopo l'operazione mi sono lavata le mani, mi sono guardata allo specchio, che bel cesso privato hanno queste due, chissà se sono a tempo indeterminato.
Sono rientrata in stanza, la mora tippettava e la bionda guardava. "Allora va bene così? Confermo e inserisco sul sito?"
"Vai!"
"Andata!" si sono date una pacca sulla mano e in quel momento si è spenta la luce.
 
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente caseario.

La citazione è ovviamente presa da Il diario intimo di Sally Mara di Raymond Queneau, Universale Economica Feltrinelli, pagina 11 e questo racconto ovviamente partecipa all'EDS Incipit o della citazione, come pure:


Hombre - Tutto quello che non sopporto
Dario - Avanti
Melusina - Una giornata qualunque
Lillina - Alter ego
Mario - Aefula
MaiMaturo - Quello che sono disposto a raccontarvi
Singlemamma - La voce - the voice
Melusina - bis - Ed essi andarono

 
 
 
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