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LA FATA IGNORANTE

Per chi ignora, le colline sono sempre in fiore.

 

 

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realtà

Post n°1089 pubblicato il 24 Maggio 2015 da EasyTouch

Cosa o chi decide cosa sia reale? Il corpo? Le sensazioni? E quando ci si interroga se un sentimento sia reale o meno, non è questa stessa un'aporia? Se lo produci tu, il sentimento, come può non esistere e, se te ne interroghi, ci dovrà pur essere un oggetto. E allora, se ti interroghi sull'esistenza di un sentimento o di qualsivoglia altra cosa, non fondi, con questa operazione, l'esistenza stessa di questa cosa? Già solo nel momento in cui si usa il "tu" si oggettivizza, ma ancor prima, nel momento in cui si pensa, si rende oggetto un qualsivoglia oggetto, anche quello più astratto. Ho sempre bisogno di usare il tu; questo prova una certa primitività del mio pensiero, ancorato al livello uno, che intimamente continuo a legittimare. La forza dei miei anni ancora floridi mi porta a questo.

Vorrei non pensare per oggetti e arrivare a pensare senza indirizzare, arrivare ad avere un pensiero pensante che non si riflette ma che vive di per sé. Non accade semplicemente "vivendo", l'errore è sempre quello, ricado nella pragmaticità e non sviluppo il pensiero non riflesso. Bipensiero, forse sta tutto qua, ad un certo punto la coscienza si deve stabilire prima del pensiero stesso e deve orientarlo. Può significare l'annientamento o annullamento di ogni forma di opposizione critica, ma considerato da un altro punto di vista potrebbe essere una prefase, cioè arrivare prima ancora del pensiero stesso, dove il pensiero critico di opposizione non serve più: il pensiero critico e il pensiero divengono un'entità unica. Questo può accadere solo e solamente se assumo che la realtà è quella che decido sia, non quella che pensavo di vedere con i miei occhi. Dire a questo punto "non lo so" o "boh" serve a poco.

Torno alle sensazioni preveglia e di veglia dei giorni prima che tu morissi. Nella preveglia eravamo un'entità unica e sapevo che saresti morta per assumere una forma più definita dentro me. La parte della veglia mi impediva di far emergere a coscienza questi pensieri -sensazioni, ma ormai ora credo che la verità sia questa, visto che la realtà che veramente esiste è qualcosa che stabilisco io, con un metro mio. Quel metro che deriva da te e che niente dall'esterno mi ha potuto modificare, nemmeno la lunga e continua educazione, dalla scuola alle relazioni. L'immutabile me lo hai incastonato tu nel momento del mio concepimento e nel momento in cui te ne stavi andando è riemerso. Lo stato di veglia mi ottundeva la mente, facendomi dimenticare quella sensazione-pensiero. Ma più sotto lo sapevo e da lì la reazione pronta che mi faceva balzare fuori dal letto e affrontare l'inaffrontabile: se tu fossi morta cessava di esistere l'oggettiva presenza che ti rendeva esistente ai miei occhi, fatto che mi obbligava a sovvertire un certo ordine di cose, prima tra tutte che tu fossi cosa fuori di me insieme all'esistenza di tutta la realtà che siamo soliti validare. Rendersi conto razionalmente della fallacità di questo sistema significava farti morire. E ora che sei morta, e fuori di me non ci sei più, è chiaramente e a tutti i livelli così: la realtà non è fuori di me ma dentro di me.

Questi pensieri, che io voglio porre come prepensieri, coscientemente, mi portano a rivalutare tutte le posizioni occupate dalle persone nella mia vita, che iniziano a non esistere più come enti staccati da me. Esistono solo quelle persone che esistono dentro di me e ho una reale percezione di chi sia dentro e chi non esista per nulla. Il fuori non lo nomino nemmeno più, dire che non esiste lo fa esistere, non si nomina più e basta.

Fintanto che scrivo, la parte del pensiero (e non del prepensiero) va a te, che scrivi e oggettivizzi e mi dico che pure io ora sto facendolo. Tu scrivi e sei soggetto al tuo pensiero, o meglio, oggetto. Mi chiedo se tu abbia un posto dentro di me, ma nel momento stesso in cui cerco di formulare la domanda e la scrivo in questi termini, di assegnazione di un posto, mi accorgo che non sei dentro di me. Chissà dove sei, se c'è un confine o se si sia dentro senza che sia mai esistito un fuori, improvvisamente.

Vista dal prepensiero la vita è tollerabile, la sostengo io e la sostengo come mi pare. Tutto quello che mi porto addosso è sempre esistito e sempre esisterà. Renderlo intelleggibile scrivendolo non so a che cosa mi serva, se so che nessuno leggerà queste righe. Sono ancora un essere imprescindibilmente dialogico?

 
 
 
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