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Alessandro Fantini

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Il Minority report del crowdfunding: ovvero come produrre oggi i produttori di domani

Post n°120 pubblicato il 12 Settembre 2015 da afantini
 

 

La capacità di sfruttare al momento giusto le nuove opportunità offerte dal web sta diventando oggigiorno il vero fattore di discrimine tra la rassegnazione ad un’ordine gattopardesco e l’ambizione ad essere artefici del proprio destino. Un concetto ben chiaro (anche troppo) ad una neolaureata italiana appassionata di produzione cinematografica che, stando ad un articolo on line, invece di dilapidare altro tempo e denaro in stage, corsi, o nella ricerca dell’ “eminenza grigia” in grado d’infilarla nella troupe di una delle tante fictions che impestano i palinsesti nostrani, ha pensato bene di bypassare l’asfittico sistema italico inoltrando richiesta di ammissione ad un corso di film producing tenuto da una prestigiosa università statunitense. Al momento di ricevere l’email che si complimentava con lei per essere finita tra i 24 selezionati, la ragazza, che per mantenersi lavora al bar di un cinema multisala, non si è persa d’animo di fronte agli 87.000 dollari di retta del primo dei tre anni di corso, e ha così deciso di avviare una campagna di crowdfunding on line che in 3 mesi ne ha raccolti 79.000, versati da oscuri benefattori residenti nei quattro continenti (forse patologicamente ansiosi di disfarsi di ingenti somme di denaro regalandole al primo studente bisognoso in cui incappano sul web). I soldi mancanti verranno coperti da una borsa di studio elargita dall’università.


Se da un lato vorrei rallegrarmi con lei per aver portato a segno un obiettivo che senza la rete fino a pochi anni fa sarebbe stato considerato il delirio di un megalomane narcisista, da un altro vengo assalito da alcune perplessità circa la facilità con la quale, postando solo una manciata di foto della sua laurea e del suo precedente soggiorno in America (senza nemmeno uno showreel o il video di un corto), corredato da un testo piuttosto generico in un inglese stentato, sia riuscita a ingraziarsi la munifica solidarietà di 400 filantropi e a farsi finanche invitare da una trasmissione televisiva che le ha fruttato (forse per intervento di un nume divino) altri 15.000 euro donati da spettatori anonimi.
Il caso in questione mette in evidenza alcuni aspetti quantomeno discutibili del fenomeno dei corsi post-laurea e delle raccolte fondi.
La fase di selezione di tali corsi, che dovrebbe essere condotta secondo rigorosi criteri di meritorietà, viene infatti svuotata di credibilità a fronte delle quote d’iscrizione, insostenibili sopratutto da un neolaureato straniero senza occupazione e/o impossibilitato a mantenersi all’estero. Il criterio meritocratico si trova quindi costretto a cedere bruscamente il passo a quello censocratico che va in larga parte a contraddire la certosina selettività dell’università sbandierata a garanzia della sua qualità formativa, in virtù della quale i suoi studenti dovrebbero essere ritenuti più qualificati di quelli selezionati da università meno blasonate, per effettive capacità fuori dal comune e non per finanziamenti fuori dal comune. Pertanto a parità di (presunto) merito prevale ancora una volta la legge dell’appartenenza di classe e del “pecunia non olet”.


Questo paradosso si fa ancora più stridente quando ad essere formati sono registi, sceneggiatori, attori, produttori, professioni che ritengo “atipiche” e per le quali l’unica vera formazione consiste in una massiccia dose d’innata creatività e mirato anticonformismo sperimentati e affinati quotidianamente sul campo. Pensare che basti spendere 300.000 dollari in un corso triennale all’estero per definirsi produttore e aspirare a produrre “un film con Wes Anderson con Bill Murray e Ralph Fiennes” come afferma la neolaureata sponsorizzata on line senza sforzarsi di essere troppo modesta, alla quale però l’università ha assegnato nel frattempo come compito per le vacanze di vedersi decine di film tra i quali “Vertigo, Umberto D. e Lawrence d’Arabia”, significa che, oltre a non avere ancora una cultura cinematografica media (il che a 24 anni potrebbe essere scusabile ma non troppo quando si afferma di voler lavorare nel cinema ad alti livelli) la ragazza è abbacinata dal mito del titolo rilasciato dall’università di fama più che essere animata dalla vocazione (questa sì follemente coraggiosa e quindi autentica) che spinse, ad esempio, un ventenne e inesperto Dino De Laurentis a chiedere in prestito i soldi ad una banca per produrre il suo primo film senza nessuna garanzia.


Ancor più opinabile è inoltre il fatto che l’esposizione mediatica della campagna di raccolta fondi di un’aspirante produttrice che finora non ha prodotto nulla (lacuna preoccupante nell’era di Youtube e delle videoreflex a basso costo), abbia generato una visibilità ingiustificata rispetto a quella quasi inesistente dei tanti filmmakers più o meno giovani che da anni si autoproducono, rischiando e investendo su stessi. Come se io, a 24 anni, invece che dipingere, scrivere e girare corti con la mia videocamera, non avessi fatto altro che lanciare appelli dicendo di aver bisogno dei soldi della gente per frequentare dei corsi oltre oceano che mi avrebbero sicuramente fatto diventare più geniale e famoso di Wharol, Kubrick e Banksy messi assieme. A quell’età Kubrick, che la ragazza cita a sproposito come per darsi un tono, aveva già diretto e autoprodotto due documentari ed un lungometraggio, guadagnandosi da vivere come giocatore di scacchi.
Personalmente, se dovessi aprire una campagna di crowdfunding mi sentirei autorizzato a farlo solo alla luce di un progetto concreto basato su capacità conclamate e realizzabile entro il breve-medio termine, come potrebbe esserlo la produzione di un film o il finanziamento di una mostra. E, a dire il vero, una neolaureata che cerca fondi per diventare produttrice non può non suonare come una leggera “contradictio terminorum”.
Cara futura “film producer”, mi sorprende che tu non abbia pensato solo per un attimo che con tutti i soldi racimolati così facilmente on line e in televisione potresti scommettere davvero su te stessa e produrre da subito dei film (come i miei ad esempio) e aprire una casa di produzione adesso e non tra “vent’anni”, invece che trascorrerne altri tre fantasticando di lavorare con registi americani famosi continuando a snobbare (giustamente ma anche troppo ovviamente) il panorama cinematografico-televisivo italiano ossificato da eterni “runners” (come ingenerosamente definisci quelli che cercano di farsi strada con le proprie forze senza andare oltre confine), nepotismi, affiliazioni meretricie e politico-familistiche che tanto avrebbe bisogno d’essere bonificato da nuove leve estranee a logiche dinastiche?
Tra vent’anni potrebbe non esserci più nemmeno un panorama (e il cinema come lo conosciamo).
Pensaci. Davvero. E tanti auguri!

 
 
 
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