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Alessandro Fantini

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Sottomissione, il manuale dell'opportunismo per il docile nichilista

Post n°114 pubblicato il 26 Gennaio 2015 da afantini
 

 

Come “H. P. Lovecraft: contro il mondo, contro la vita”, la prima opera pubblicata per i tipi di Gallimard nel 1991, poteva considerarsi “de facto” un saggio pseudoletterario con l’andamento di un romanzo, così l’ultimo parto del francese Michel Houellebecq, passato nel giorno della sua pubblicazione sotto il battesimo del fuoco degli attacchi terroristici a “Charlie Hebdo” (scatenando un drammatico groviglio di rimandi ipertestuali tra finzione e realtà sul quale nemmeno lo scrittore, pur spregiudicato nelle sue invenzioni distopiche, avrebbe potuto fantasticare dopo essere stato ironicamente preso di mira nella vignetta di copertina del settimanale satirico), potrebbe definirsi un antiromanzo concepito come sovraccoperta di un lungo saggio, riassumibile in una manciata di concetti tanto intellettualmente dirompenti e grotteschi, quanto condivisibili nella loro radicazione in una spietata analisi antropologica di un secondo, assai meno estetico decadentismo della società occidentale.

Che il protagonista di questa (all’apparenza inedita) storia senza vocazione narrativa possa essere assimilabile o meno allo stesso autore, ad un professore universitario o a un membro dell’intellighenzia francese, è d’altronde ininfluente ai fini della valutazione letteraria. Se lo scrittore solitario di Providence gli era servito come “medium” biobibliografico (quasi alla stregua di quelli ideati da Borges per le sue false monografie d’autore) per descrivere la sua personale visione antiumanistica di un mondo degno solo di un remissivo disprezzo, la figura sfuggente del quarantenne docente di letteratura francese della Sorbona che alterna pacati impulsi suicidali a un’alienata promiscuità sessuale (comune anche ai protagonisti di “Piattaforma” e “Le particelle elementari”) e il cui principio di realtà si regge sull’ossessione verso l’opera di Huysmans, creatore dell’esteta misantropo Des Esseintes, a cui ha dedicato la sua ponderosa tesi di laurea, è l’ennesima variante da “gioco di ruolo” di quell’archetipo umano condannato alla  perdita delle proprie coordinate affettive e identitarie già incarnato dall’artista Jed Martin nel precedente romanzo “La carta e il territorio”. Al successo planetario dell’arte di Jed e alla  progressiva autoesclusione dalla stessa società che quel trionfo aveva decretato, si sovrappone adesso in “Sottomissione” un percorso inverso che sembra applicare alla lettera con una efficacia simbolica dal retrogusto satirico il titolo stesso del romanzo più famoso di Huysmans, quell’ “À rebours”, “A ritroso” che è, proprio come questa nuova fatica di Houellebecq, un romanzo intenzionalmente mancato il cui fascino precipue consiste nello sfoggio stilistico-concettuale col quale ne viene giustificata, dalla prima all’ultima pagina, la sarcastica ragion d’essere. Perché infatti, replicando con un’astuzia citazionistica che ha più dell’irriverenza del lettore esacerbato che della riverenza del fine conoscitore, il processo di rieducazione “spirituale” di Huysmans che nel 1892, in una sorta di rivelazione ricevuta nell’abbazia di Notre Dame d’Igny avrebbe abdicato all’ateismo per abbracciare, più che altro nel suo formalismo rituale, la fede cristiana, il nostro professore si lascia guidare, senza particolari macerazioni interiori o dilaceranti travagli morali, verso l’accettazione del nuovo status quo che, alla salita al potere in Francia dell’islamista moderato Ben Abbes, nell’arco di pochi mesi scompagina e ridisegna l’intero assetto, culturale ancor prima che politico, di un’Europa ormai stremata da un  sistema cristiano-capitalistico incapace di autoperpetuarsi. Non di un islamismo radicale e fanatico si fa tuttavia promotore il fittizio neopresidente devoto lettore delle sure del Corano, dal momento che il suo programma di islamizzazione si esplica attraverso la preservazione delle istituzioni esistenti, cattoliche e non, trasfigurate da un codice etico che impone l’adozione della poligamia e l’esclusione delle donne dal mondo del lavoro.

Una volta pensionato in anticipo con un sostanzioso vitalizio e la riserva di poter rientrare con tutti gli onori nella gerarchia universitaria a patto di affrontare il rito di conversione, il professore si ritrova per oltre la metà del libro a soppesare con erudita ponderazione i pro e i contro dell’entrare a far parte di un nuovo ordine politico che promette di riunificare, sotto l’egida di questo novello Khomeini Bonapartizzato, tutte le nazioni di fede islamica in una riedizione, estesa a tutta l’Europa, dell’Impero Ottomano. Pur mediata dalla disincantata e a volte deumanizzante visuale del professore, l’incongruo scenario di una Francia del prossimo decennio che si arrende con estrema tranquillità, anzi si “sottomette”, ad una repubblica islamica a lungo germogliata nel suo grembo, riesce del tutto verosimile alla luce delle argomentazioni sviscerate nelle colte conversazioni con i professori convertiti (tratteggiati come caricature dell’ipocrita intellettuale “engagé”). In fondo quello che viene tracciata tra queste pagine è una sobria rilettura nietzschiana di un Islam che propugna un’equilibrata diseguaglianza fondata sulla ricchezza di stampo oligarchico, nonchè sul predominio di una élite intellettuale deputata per questo a tramandare i migliori rami genetici grazie a nuclei famigliari composti, con l’intermediazione di esperte mezzane, da un numero massimo di quattro mogli, permettendo anche ai più disadattati dei professori di scoprire le gioie della vita coniugale. Scongiurata è quindi la vita di angosce, lotte e fallimentari tensioni sessuali che caratterizzavano l’uggiosa esistenza dei personaggi di “Estensione del dominio della lotta”: rimosse le tentazioni erotiche alla base della competizione tra maschi alfa e beta, il professore giunge alla conclusione che la prospettiva di una vita sessuale regolata da una disciplinata promiscuità sia preferibile a quella sregolata,  emotivamente e letteralmente sterile, condotta con le meretrici contattate via internet.

Così l’abdicazione alla libertà e all’individualismo a tutti i costi professati dal neoliberismo sfrenato viene ripudiato come il vetusto cascame di una civiltà finita nel tritacarne di feroci conflitti economici, incapace d’iniettare fiducia nel presente o nel futuro una volta polverizzate nei fatti le idee di nazione, stato, famiglia, lavoro, sminuzzati dalla legge della prevaricazione delle lobbies e dei gruppi bancari che non si peritano di fare strame delle masse per soddisfare il piacere suicidale del profitto e del dominio. Di questa civiltà, come il carapace incrostato di gemme per volere di Des Esseintes che finisce con lo schiacciare la testuggine, resta solo la gloria dell’arte forgiata nel corso dei secoli. Alla fine, alla figura di Huysmans che nonostante la nuova vita da oblato benedettino continuava a concedersi prese di tabacco e i manicaretti della domestica, al quale il professore dedicherà un ultimo testo critico scritto come prefazione di una riedizione dell’opera completa, viene contrapposta in chiave esemplificativa Dominique Aury, l’autrice che sotto lo pseudonimo di Pauline Reage aveva imbastito il più geometrico e assolutizzante dei rapporti di sottomissione esposti in letteratura nel romanzo erotico “Histoire d’O”. “C’è un rapporto tra la sottomissione della donna all’uomo come la descrive Histoire d’O” osserva Rediger, nuovo rettore della Sorbona “e la sottomissione dell’uomo a Dio come la contempla l’Islam (…) l’Islam accetta il mondo, e lo accetta nella sua integrità. Accetta il mondo così com’è, per dirla con Nietzsche”.

E seppure in superficie il romanzo tenda a presentarsi come l’apologia fantapolitica di un  funzionalismo sociale che solo la rinuncia all’autodeterminazione e la negazione del centralismo umanistico potrebbero ancora garantire, esso nasconde nelle viscere quella che, dopo “American Psycho” di Bret Easton Ellis e “Fight Club” di Chuck Palahniuk, appare forse come la più clinica e tragicomica presa d’atto dell’agonia terminale di un sistema, orfano di fulcri  valoriali, già da tempo collassato in un Big Bang silenzioso di cui la crisi contemporanea non è che l’eco prolungata dall’onanismo finanziario.

 

 
 
 
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