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Le JANARE tra leggenda e realta'

Post n°2135 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da luger2
 

La janara è una figura della tradizione popolare e come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe, e sa scatenare  tempeste. Nella coscienza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso. È capace di nuocere agli umani, ma non ha i legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un’eretica, al pari dei seguaci di altre religioni. L’etimologia proposta per il termine popolare janara metteva in connessione tale nome con il latino ianua = porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale)con Salus (la dea della salute). Janara” è un termine comune nel napoletano nell'indicare la strega e lo si trova anche nella variante ghianara, dianaria o dianiana, aggettivo derivato da Diana, equivalente a “seguace di Diana”. L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebs romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni. Orazio parla dei tria virginis ora Dianae (i tre volti della vergine Diana ) o di Diana triformis, Virgilio conferma tale aspetto quando parla della dea che è Luna in cielo, Diana in terra, Ecate nel mondo infernale. Gioco di Diana ” è definito, in molti testi, il corteo di streghe, stregoni e spiriti infernali di cui si aveva notizia attraverso le deposizioni delle imputate di stregoneria. Diana è chiamata nei processi “Signora del gioco”, dove “gioco” traduce il latino ludus, nel significato di “luogo dove s’impara” o anche di “passatempo dilettevole”, visto che in queste riunioni si ballava e si cantava."Chi nasci 'a notte 'e Natale nasci maleritto: si è màscolo,addivènta lupo mannaro; si è fémmena, addiventa ianara pe' tutta'a vita."
La leggenda popolare narra che chiunque nascesse la notte del 24 dicembre diventasse un lupo mannaro se maschio, se femmina, invece, condannata ad essere Janara per tutta la vita. Si temeva perchè la si riteneva portatrice di disgrazie o malocchi (raccolti andati a male, malattie ad animali), si temeva soprattutto che una sua occhiata o una parola sussurrata a bambini ancora in fasce potesse far diventare loro storpi o portarli addirittura alla morte. Ella era considerata la serva del diavolo e aveva la capacità quindi di procurare aborti,malformazioni ai piccoli ovvero tutto quello che riguardava la sterilità; contrapposta quindi alla Madonna (vergine e madre). Storie raccontano di Janare che entrate nelle stalle rapivano gli animali e li sfinivano per tutta la notte facendoli correre e stancare e riportandoli solo all’alba stanchi morti e con la schiuma alla bocca. Altre invece che frequentavano assiduamente case dove erano presenti bambini ai quali storcevano gambe e piedi impedendone la crescita nel tempo o in altri casi, causavano strabismo o addirittua morte; il sacrificio dei bambini serviva a nutrire, con il loro sangue, il mostro che veneravano durante i loro riti.  Irituali delle Janare (Sabba) si svolgevano solitamentre intorno al noce più vecchio nei pressi del fiume Sabato alle porte di Benevento. Questi riti si eseguivano con salmi recitati in una lingua incomprensibile e con girotondi intorno al noce ai quali rami era appesa la pelle di un caprone che veniva battuta ripetutamente con dei bastoni ad ogni giro di Janara. Un rito Pagano non apprezzato dai Cristiani e mai compreso, perchè il caprone nella Bibbia simboleggia il demonio. Solitamente dopo i girotondi, si usava terminare il Sabba alzandosi tutte in volo in groppa alla propria scopa. Rispetto alla figura classica tramandataci dalla storia e dagli scritti degli esponenti della cultura clericale del Medioevo, la Janara è prettamente legata al culto magico della terra, conosce l'uso delle piante, può comandare gli eventi atmosferici e arrecare danno all'uomo.
Pietro Piperno, protomedico beneventano e autore del celebre libro "Della superstitiosa Noce di Benevento", del 1639, rifacimento della versione latina dal titolo "De Nuce Maga Beneventana", far isalire l'origine delle streghe beneventane al tempo dei Longobardi e precisamente all'epoca del Duca Romualdo. Secondo quanto racconta Piperno, che a sua volta desume le notizie da una legenda di San Barbato, i Longobardi adoravano una vipera d'oro e celebrano i rituali attorno ad un albero. Piperno vuole dimostrare l'infondatezza della diceria che Benevento è città di streghe. Infatti il noce dei raduni longobardi, infestato di demoni, fu sradicato dal santo vescovo Barbato. Nonostante tutto, sia relazioni di dottii nquisitori, sia le testimonianze rese dalle streghe, facevano pensare che il mitico Noce esistesse ancora e qualcuno diceva addirittura che era rinato, nello stesso posto da cui era stato estirpato (localizzato in una piantina,acclusa al testo).  
Egli puntualizza che il Noce, rinato sul medesimo luogo di quello sradicato da San Barbato, si trova a circa due miglia dalla città, non distante dalla riva meridionale del fiume Sabato, nella proprietà del nobile Francesco di Gennaro. Su questo luogo Ottavio Bilotta fece porre un'iscrizione che ricordasse l'opera di San Barbato. 

Unica consolazione per l'autore è il fatto che le streghe non sono mai donne di Benevento, ma vengono qui da altre parti. Il suo tentativo di dimostrare l'estraneità della città al convegno delle streghe fallisce proprio quando dimostra che Benevento è notissima in tutta Europa, per il Sabba. Il Piperno riporta la testimonizanza della strega Rosa, che durante il processo, rispose all'inquisitore che il noce delle streghe era nella valle benventana, presso un fiume e non lontano dalla ripa di esso c'era un luogo dove le streghe erano solite danzare. Lì c'era anche un antro pieno d'acqua dove d'estate le streghe si bagnavano facendo giochi nella notte di San Paolo (29giugno) o in quella di San Giovanni (24 giugno). Ma perchè proprio il Noce? I suoi frutti, che in un involucro ligneo proteggono i semi quadrilobati, le cui increspature possono ricordare un cervello nella scatola cranica, potevano essere utili strumenti per la magia simpatica, che utilizza oggetti simili a quelli su cui si vuole esercitare la forza incantatrice. Sotto l'albero di noce l'erba cresce più rada. Le foglie, i malli, sono fortemente tannici ed inoltre contengono un alcaloide, una sostanza tossica, che si chiama juglandina. La decozione delle foglie usate per iniezioni vaginali serve alla cura della leucorrea e per lozioni nelle ulcere scrofolose. I cataplasmi di foglie fresche guariscono le piaghe e le ulcere. L'olio di noce, la decozione del mallo, sono antiemintici (favoriscono l'eliminazione dei vermi intestinali). Le foglie secche e poi decotte sono usate per lavature di tutte le mucose; le pennellature sono utili per le afte delle tonsille. Col mallo acerbo, raccolto rigorosamente a San Giovanni, si prepara ilnoto liquore casalingo, nocino o nocillo, dalle rinomante proprietà stomachiche e digestive. Ce n'è abbastanza perchè il noce sia caro alle manipolatrici di erbe. In particolare è interessante la capacità di quest'albero di accogliere in sè il bene e il male, dice Piperno che nux, ut arbor, et bonis et malis proprietatibus fuita natura dotata. Infatti l'errata manipolazione delle sue parti puòfar divenire nociva la sostanza in origine capace di guarire.
Numerose sono le applicazioni tramandateci dalle Antiche: le noci unite al cibo con ruta pestata li trasforma in veleni letali, ma se poste fra funghi o altri cibi velenosi, ne assorbe ed estingue la tossicità. Aiutano ad espellere i vermi, unite a cipolla, sale e miele. Le ceneri poste sull'ombelico sedano i dolori. La corteccia di noce bruciata e tritata, mescolata al vino e all'olio diventa una lozione lucidante per capelli ed elimina l'alopecia nei bambini.
Con un pò di miele e ruta la cenere della corteccia spalmata sui seni ne lenisce le infiammazioni, lo stesso avviene per le carie dentarie. Secondo Piperno i frutti prodotti dal Noce delle Streghe erano venduti a caro prezzo come amuleti. Essi erano di forma piramidale a base quadrangolare ed erano utilizzati per combattere terrori notturni infantili, crisi epilettiche; inoltre i nuclei inseriti nella cavità uterina facevano concepire figli maschi. In greco il noce è detto Karion, nell'antichità preellenica sembra che fosse stato consacrato ad una misteriosa divinità della morte chiamata Karo Ker, divenuta presso i Greci Kore, la fanciulla rapita da Ade e diventata dea degli inferi col nome di Persefone. Così la Caria in Asia Minore, è la terra dei noccioli e delle noci e Carias in Arcadia era il villaggio dei noci dove le fanciulle facevano una danza in onore di Artemide, nome greco di Diana, che qui era chiamata Cariatide.
Nella terra beneventana quindi vivevano ed operavano alcune tra le streghe più famose del mondo: Violante da Pontecorvo, la Maga Menandra, che abitava nella zona conosciuta oggi come Grotta Menarda, o la Maga Alcina di cui parla anche l'Ariosto, che viveva a circa quattromiglia dalla città di Benevento, nel paese di Pietra Alcina (Pietrelcina); oppure la Boiarona, la quale aveva legato dei demoni alle noci, anche la Strega Gioconna era solita fare questi malefici.Ma l'Arcistrega per eccellenza nella zona del Sannio fu Bellezza Orsini, processata dal santo uffizio di roma nel 1540, la quale aveva una particolare predilezione per le apprendiste molto belle. Dopo averle spalmate con l'unguento, insegnava loro la famosa formula per volare. Conosceva l'arte di combinare le erbe per guarire i malanni, ma in seguito ad una serie di denunce, fu arrestata, rinchiusa a Fiano e torturata. Per la Orsini quella della Striaria era un'Arte concessa solo a quelle del suo rango. Confessò di essere stata più volte al Noce in compagnia di altre Arcistreghe. In onore di queste Antiche Maestre ancora oggi si fanno visite all'albero del Sabba. A SanLupo uno dei paesi più piccoli della provincia di Benevento, contando poco più di 800 abitanti che si adagia su una rocciosa collina, appare un paese tranquillo, ma è in realtà un vortice di storie e leggende magiche e affascinanti. La leggenda vuole che i monaci benedettini, inviati dall’Abate Giovanni per individuare il luogo dove costruire il primo nucleo abitativo, scegliessero la località Cortesanta, per l’apparizione di un lupo “che mirava una stella abbagliante in cielo”. Questa scena è ricorrente in moltissime raffigurazioni: nelle fontane, nelle chiese e nelle acquasantiere del paese. L’aspetto più intrigante del piccolo centro sannita lo troviamo, però, nell’alone del mistero delle tantissime leggende sanlupesi: una su tutte quella delle Janare. Risalente al Medioevo, nacque presso un torrente, poco distante dal centro storico. Si narra che sotto una roccia, dominante il corso d’acqua, si celasse un accesso agli Inferi, dove il diavolo in persona si mostrava alle sue adoratrici, le Janare appunto. Costoro erano donne del luogo che si tramutavano in area e volando entravano nelle case dei sanlupesi per compiere i loro malefici.
Per rivivere la leggenda, l’appuntamento è con la “Festa delle Janare”, il 24 giugno! Sott'al'acqua, sott'a 'r vient, sott'a la noc d' Bnvient!

 
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