Creato da LIBRERIAVENETA il 14/04/2010
libreria del Polesine e del Veneto : vagando qua' e la alla scoperta delle origini e delle tradizioni e delle storie Polesane

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Testi degli autori della terra Polesana, scritti in lingua Veneta. Il sentire, le parole, gli ambienti di un tempo; le immagini dei luoghi della terra , della città, e dei dintorni , per aumentare la visibilità, farne ammirare la bellezza,far conoscere la storia; i personaggi e personalità del mondo Veneto.

 

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LA TRADIZIONE

 ... che la saggezza degli antichi non sia una via di fuga?

Coro Monte Pasubio canta: "Me compare giacometo"

IL GRUPPO : ANDE CANTI E BALI

http://www.andecantebali.it/


un blog molto interessante 

 

EL MOETA


Su 'a porta de 'a casa
vien uno che dise:
"Co'l me furgonsin,
mi son l'arotin"
Tacà su 'a sintura
ga un masso de forbici,
che 'a par na picàia
de tordi ciapài;
in man i cortei,
na ròncoea, na brìcioea,
pirata el me par,
brigante del mar.

Mi penso al moèta,
che 'a roda el girava
alzando 'a ganbeta;
al vaso co'l fil
de fero tacà,
che assava cascar
sui sighi e lamenti
na gossa, na eàgrema,
precisa e costante
ea pena a lenir.

 

( Attilio Scremin da Dialettando.com)

 

 

CONTE

 
 

canzone dei gobeti

 

 

--------------

La Canzone Popolare

 

I CRONISTI DEL TEMPO

 

marco paolini

 

Rigoni Stern 

 

Marco Paolini legge Rigoni Stern

 

IL RICORDO DELLA CAMPAGNA DI RUSSIA

 

BY CORO MONTE PASUBIO

 

 

A ROVIGO A GH È ON CURATO

 

A Rovigo a gh é on curato
mia bela ti do.
A Rovigo a gh’é on curato
mia bela ti do.
E a Rovigo a gh é on curato
che l é bravo da confesar
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.
E a Rovigo a gh é on curato
che l é bravo da confesar
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.

Se l é una giovane mandatela avanti
mia bela ti do.
Se l é una giovane mandatela avanti
mia bela ti do.
Se l é una giovane mandatela avanti
che la vòlio confesar
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.
Se l é una giovane mandatela avanti
che la vòlio confesar
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.

Se l é una vechia mandatela via
mia bela ti do.
Se l é una vechia mandatela via
mia bela ti do.
Se l é una vechia mandatela via
che il demonio la porta via
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.
Se l é una vechia mandatela via
che il demonio la porta via
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.

E anche il figlio raconta al padre
mia bela ti do.
E anche il figlio raconta al padre
mia bela ti do.
E anche il figlio raconta al padre
che il curato baciò la madre
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.
E anche il figlio raconta al padre
che il curato baciò la madre
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.

Se l à baciata à fato bene
mia bela ti do.
Se l à baciata à fato bene
mia bela ti do.
Se l à baciata à fato bene
l à solevata da tante pene
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.
Se l à baciata à fato bene
l à solevata da tante pene
mia bela ti do
bela ti do
ti do on bacin d amor.

 

 

ITINERARI ETNOGRAFICI DEL VENETO

Post n°414 pubblicato il 11 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

 

Gli itinerari qui presentati rientrano in un progetto complessivo di valorizzazione della cultura locale promosso dalla nostra Regione. La ricchezza di significato espressa dalle tradizioni di arti e mestieri delle nostre genti viene, infatti, costantemente valorizzata grazie a norme specifiche e ad una serie articolata di iniziative delle quali qui ricordiamo due esiti tra i più ragguardevoli: la L.R. 26/1995, che ha istituito il sistema regionale veneto dei musei etnografici, e l'edizione nel 1998 del volume Musei etnografici del Veneto. Questa guida, con il suo apparato dischede illustrative dei musei, potrà essere un utile complemento ai suggestivi percorsi che lungo la Piave e attraversando le province di Belluno, Treviso e Venezia conducono alla scoperta di tradizioni popolari, di antichi mestieri, ma anche delle fisionomie e dei suoni autentici di valli, boschi e corsi d'acqua. Un paesaggio fortemente caratterizzato dal punto di vista ambientale proprio dalla presenza del fiume e i segni del passaggio dell'uomo fanno da cornice e, insieme, da riferimento culturale di appartenenza per tutti quegli oggetti che oggi in disuso sono custoditi nei musei etnografici, significative tappe di questi percorsi.

Il forte senso di appartenenza, lo stretto radicamento alla propria terra hanno portato i Veneti, fossero essi oscuri utilizzatori o avvertiti collezionisti, a dare valore agli strumenti e ai documenti della vita materiale e ad individuare nel museo locale il luogo idoneo cui affidare il "segno" della loro vita quotidiana e della loro civiltà. E' tale sensibilità che rende questi itinerari non solo un pregevole strumento per il turismo culturale, ma anche un'occasione di apprendimento per le giovani generazioni.

 


Angelo Tabaro

Direzione Cultura 
REGIONE DEL VENETO

 

 
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CONTRO LA CRISI TORNARE AL PASSATO

Post n°413 pubblicato il 11 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

Rilanciare gli antichi mestieri per arginare il fenomeno della disoccupazione in Italia. L’idea viene dalla Francia e dalla Baviera, dove sono nate delle scuole per pastori, che prevedono corsi teorici e tirocini. In aula, anche studenti o laureati.

“Possiamo incominciare a lanciare un appello agli ombrellai?”, è la proposta di Roberto Togni che scrive al Corriere della Sera di Milano Ad alcuni potrà sembrare un’iniziativa anacronistica ma nessuno aveva ancora proposto di ripartire dalla nostalgia e dal passato.

“Chi ricorda il vecchio grido degli ombrellai, degli arrotini, degli straccivendoli? Occorre andare indietro di qualche decennio. Nei paesi della Sardegna fino a qualche anno fa c’era il “banditore” comunale che annunciava dal campanile (come dal minareto) o con l’aiuto di un megafono, l’arrivo del carro o del camion con prodotti vari”, ha ricordato Togni nella sua lettera. E ha spiegato come in realtà gli antichi mestieri non siano spariti ma siano rimasti appannaggio solo degli stranieri o di pochi umili. Eppure, la richiesta è ancora tanta.

Persino nella capitale della moda.
“Oggi sono rimasti i mercatini settimanali rionali a vivacizzare le strade di Milano, i pervicaci senegalesi che vendono libri sull’Africa, i filippini e gli srilankesi delle metropolitane che diffondono piccoli ombrelli cinesi che si rompono subito. Esistono pure impagliatori di seggiole veneti o friulani all’aperto e rari arrotini”, ha scritto l’uomo.

“Con tanti elogi che antopoliogi, etnografi, musei e promotori di turismo fanno dei vecchi mestieri, non si potrebbe riproporne concretamente qualcuno?”, si è domandato.

La scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti ha risposto, ricordando che gli arrotini passano ancora per le strade di Milano e i mercati rionali “rappresentano comunque una razionalizzazione dell’antica attività ambulante”.

Inoltre, nella capitale della moda c’è ancora in palio il premio “Dama d’argento”, un riconoscimento in denaro destinato all’artigiano.

- See more at: http://www.corriereuniv.it/cms/2013/02/pastori-banditori-ombrellai-contro-la-crisi-tornano-gli-antichi-mestieri/#sthash.Gjg2QO7s.dpuf

 
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Antichi Mestieri

Post n°412 pubblicato il 11 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

GRAZIE A kafkian8

 
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Indice

Post n°411 pubblicato il 11 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

Indice

Premessa, 9

I mestieri ambulanti attinenti alla persona, 13

La mersàra (la merciaia), 15

EL scarpàro e el socolàro (lo scarpaio e lo zoccolaio), 23

L'ombrelàro (l'ombrellaio), 35

La pessàra (la pescivendola), 43

El sagràro (il venditore ambulante di dolciumi), 49

El gelatàro (il gelataio), 55

I mestieri ambulanti attinenti alla casa, 63

El marangón (il falegname), 65

El stramassàro (il materassaio), 75

El careghéta e el scoatàro (il seggiolaio e colui che fabbrica scopini), 83

El spassacamìn (lo spazzacamino), 95

El fàbro feràro e el majàro (il fabbro ferraio e il magnano), 105

El parolòto (il calderaio), 113

El moléta e el molàro (l'arrotino e colui che fabbrica la mola), 123

La canolàra (la venditrice di oggetti in legno per la casa), 135

El strassàro (lo straccivendolo), 143

I mestieri ambulanti attinenti agli animali, 151

El latàro e el casàro (il lattaio e il formaggiaio), 155

El salassàro e el voltavedèi (il salassarore e il castravitelli), 165

El selàro (il sellato), 169

El feracavài (il maniscalco), 179

El mas-ciàro (il norcino), 187

Lovarolo e el polastràro (colui che acquista uova e pollame),199

La caponàra (donna che fa i capponi), 207La spelumìna (donna che strappa le penne ad oche e anatre), 211

I mestieri ambulanti attinenti ai campi, 217

El botàro (il bottaio), 219El torcolàro e el graspàro (il torchiatore e colui che raccoglie il fondiglio), 227

El trebiatóre (il trebbiatore), 237

EL crivelàro (il crivellatore), 253

El mulinàro (il mugnaio), 257

El segadóre (il falciatore), 265

EL molanàro (il venditore di angurie e meloni), 275

 
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DI CASA IN CASA I VECCHI MESTIERI AMBULANTI NEL VENETO di Frigotto Pier Paolo

Post n°410 pubblicato il 11 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA
 

Premessa

Per non dimenticare: questo dovrebbe essere il titolo della presente pubblicazione dedicata ai mestieri ambulanti di un tempo, oggi quasi del tutto scomparsi. Un mondo di cose e di uomini, di mani e di gesti. Un mondo difficile da raccontare perché quello delle arti minori, dei contadini, è stato il mondo del silenzio: non ha mai parlato in prima persona, non ha mai sospettato che la sua storia potesse avere una qualsiasi importanza; un mondo che ha costruito oggetti ritenuti di nessun valore. E quei mestieri sono definitivamente passati insieme a coloro che li svolgevano.

Scelto perché congeniale, conquistato attraverso l'intelligente applicazione delle proprie capacità oppure accettato per necessità, ogni lavoro si legava talmente all'individuo che lo praticava da metterne spesso in ombra i caratteri personali, cosicché il nome del mestiere sostituiva addirittura quello proprio. Ciononostante, pur trattandosi di attività considerate misere, ciascuno le viveva con una sua dignità che conservava anche quando era fatto oggetto di disprezzo o di pesante ironia: sebbene venisse considerato un porocàn e pur nelle quotidiane difficoltà, egli si sentiva padrone di sé e libero dentro un suo piccolo-grande mondo.

Coloro che praticavano i mestieri di casa in casa venivano dai paesi vicini o da molto lontano, perfino da fuori regione; si spostavano a piedi, con rudimentali carretti trainati a mano o da un asino, talora servendosi semplicemente della bicicletta. Hanno girato per i nostri paesi e contrade fino a qualche decennio fa, alcuni rientrando a casa propria ogni sera, altri addirittura dopo molti mesi. Si annunciavano per lo più con un caratteristico grido di richiamo e avevano dei giorni o dei periodi dell'anno stabiliti nei quali apparivano, per vendere le loro merci, sovente prodotte da loro stessi, oppure per offrire piccoli ma indispensabili servigi di lavoratori intraprendenti, o anche soltanto per acquistare qualcosa.

Non veniva mai negato loro un piatto di minestra e un pagliericcio per passare la notte al riparo dalle intemperie, anche perché non sempre c'erano i soldi per pagarli. Entravano nelle famiglie altrui per poter lavorare e mantenere la propria.

Oltre alla presenza ricorrente in tutte le comunità di paese del prete, del medico e della comare, molte altre figure erano testimoni fedeli del "nomadismo lavorativo" nelle contrade. Si trattava di attività spesso accompagnate da stenti e povertà, ma senza ansia, fretta e nevrosi, come mostrano le rare, ma per questo ancor più preziose immagini giunte fino a noi: dai volti, dai movimenti della mano esperta, dagli oggetti prodotti si comprende che questi erano realizzati quando il tempo non contava, quando l'uomo aveva ampi spazi a propria disposizione per levigare, scolpire, limare, battere e intrecciare con fatica operosa e tenace. Un lavorare che non era soltanto sforzo o ripetitività meccanica, che non era eseguito con aria rassegnata; ma con la consapevolezza di chi possiede una tecnica per produrre oggetti durevoli e funzionali; un lavorare che conferiva un senso alla vita: era il solo modo per realizzare se stessi.

Scriveva il filosofo francese Alain, uno dei padri del pensiero moderno: «In quanto al bello, so che esso non si è mai inventato fuori del lavoro, e che il mestiere e la materia vi hanno più parte di quello che il laboratorio di psicologia chiama gioco e ispirazione». Queste parole, scritte intorno al 1920, ci ammoniscono e ci rallegrano perché testimoniano il valore del nostro bagaglio antico ma non ancora antiquato, e delle radici da cui siamo nati.

Nessuno vuol, mitizzare il proprio paese, la propria terra, storie dimenticate, oggetti popolari scomparsi. Ha poco senso esaltare il passato per sminuire il presente, celebrare il superstite, rimpiangerlo. Chi vorrebbe tornare al lume a petrolio ed al carretto trainato dall' asino? Dovremmo forse preferire un mondo arretrato, quasi primitivo?

D'altra parte è un dato acquisito da tutti che i concetti di "arretratezza", di "cultura primitiva” sono assai relativi. Storici ed antropologi ci hanno fatto capire che possiedono una cultura anche quelli che un tempo si definivano «volghi dei popoli civilizzati» e che la Storia è storia di tutti gli uomini, non solo ed esclusivamente dei “grandi” .

L’elogio dei vecchi mestieri ambulanti si colloca quindi all'interno di una cornice pudica: non siamo vittime di inutili nostalgie, ma non dobbiamo nemmeno essere dei nuovi barbari, che calpestano un immenso patrimonio di conoscenze e di esperienze.

Tali mestieri sono stati suddivisi, nel presente lavoro, in quattro ambiti: quelli legati alla persona, alla casa, agli animali e ai campi. Per comprenderli e quindi descriverli si è dovuto fare un tuffo nel passato non indifferente, in un mondo chiuso in se stesso, in molti casi estremamente povero, con poche prospettive di lavoro, ma con tante certezze tradizionalmente tramandate all' ombra dei campanili.

La nostra vita, oggi, è più lunga, più sana, più confortevole e più sicura: ne siamo debitori però ai rischi, agli azzardi, alle fatiche, alla creatività di chi, fedele al suo mestiere, costruì il mondo in cui ci muoviamo.

Nessuna bellezza va perduta se la si sa ricordare e conservare. Anche la bellezza che fu dobbiamo saperla ereditare senza vanità, senza lacrime ipocrite, senza arroganza. Per questa ragione, le pagine che seguono vanno anche un po' meditate. Speriamo che, domani e dopodomani, qualcuno possa parlar di noi in identico modo, perché la continuità dell'uomo,  sola, è la garanzia della sua salvezza.

 
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FESTA DELLA TREBBIATURA E ANTICHI MESTIERI

Post n°409 pubblicato il 11 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

FESTA DELLA TREBBIATURA E ANTICHI MESTIERI

NOGAROLE ROCCA (VR), OGNI ANNO A LUGLIO
INFORMAZIONI: 
COMUNE DI NOGAROLE ROCCA
TEL. +39 045 7925384 / 7925384

Festa della Trebbiatura e Antichi Mestieri_Nogarole Rocca_VROgni anno aluglio Corte Colombare di Nogarole Roccaospita la Festa della Trebbiatura e degli Antichi Mestieri. La giornata intende tornare indietro nel tempo e di far rivivere alcune usanze e tradizioni di un tipico paese di pianura. Prime tra tutte l’aratura e la trebbiatura. Ad aprire la festa sarà proprio l’aratura. Alcune dimostrazioni pratiche con macchine agricole d’epoca permetteranno a tutti di conoscere le fatiche del lavoro nei campi di un tempo. Nel pomeriggio seguirà anche la dimostrazione dell’attività di trebbiatura e l’esposizione di macchinari e attrezzature antichi che hanno aiutato in passato la vita nei campi. A fare da cornice a questa Festa della Trebbiatura e Antichi Mestieri_Nogarole Rocca_VRfesta saranno presenti una mostra con esemplari di auto e moto d’epoca e personaggi in costume che faranno rivivere gli antichi mestieri delle corti e degli ambienti rurali veneti. Piatti tipici della gastronomia locale, come il risotto “coi saltarei” e “col tastasal”, potranno essere degustati a seguito dell’apertura della nuova riseria.
 
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Fotografie di un tempo che non c'è più

Post n°407 pubblicato il 10 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

Fotografie di un tempo che non c'è più

Qualche ano fa, a causa de la television, qualche  scola media  me invitava a farghe visita par parlarghe ai studenti del passato, e rispondarghe a le so curiosità. E sicome i me vedeva a la television, subito i me domandava robe che riguardava quel mondo che, da fora, el pareva misterioso.

I voleva savere de le telecamere e del cromachit: (na inmagine, ferma o mobile) che se pol metarghe drio a quelo che parla sentà ne lo studio, e che dava l’impression a chi vardava, che quello se trovasse su la piassa d’un paese o su na strada de campagna. Cussì, dopo spiegà el mistero, se partiva dal tempo che anche mi andavo a scola, e se faseva le lession al ciaro de candela o de canfin a petrolio, parchè no ghe gera ancora la corente eletrica, ne la magior parte dei paesi.

Go sempre visto nei oci dei tosi, come un senso de maraveja, par na vita che ghe pareva impossibile: no ghe gera la corente e de conseguenza gnanche radio. Nei ani (1940) in qualche paese, vegneva messo un aparechio radio a casseloto sul balcon del municipio, par far scoltare a la zente in piassa, i discorsi del duce (el capo del governo de alora). La gera na curiosità che faseva maraveja, anche se sentiva più strani rumori e musica varia che le parole del duce, pur se i bateva le man. Dopo la guera, nei ani cinquanta, co le prime television che i ciamava a righe, parchè el video gera sempre pien de righe che andava e vegneva. Anche par le prime television qualche bar o adiritura el comune, e parfin in qualche cinema, i meteva la television in bianco e nero, parchè la zente podesse vedare Michele Bongiorno co “Lascia o radoppia”. Una de le prime trasmission che gera anche un zogo, dove se podeva vinsare schei. Nei paesi, la zente, ste robe, le credeva un truco come al cinema. Tanto xe vero che da Milano, la Rai, mandava in giro par i paesi, dei tecnici che riprendeva persone del logo conossue (alora ghe gera le filodramatiche parochiali), par dimostrarghe a la zente che la television riprendeva dal vero. Mi so sta uno de quei che co altri, sempre del paese, i ne ga fato fare qualche picola farsa, par farghe vedare a quei che ne conosseva che no ghe gera truchi.

Particolari de na storia tanto distante, e ne lo stesso tempo tanto vissina, che xe diventà na favola, par quei zovani che me scoltava; anche se i la gaveva sentìa contàre dai papà o dai noni. Ghe restava sempre el dubio che fosse esagerà, parchè noi podeva inmaginarse un mondo sensa la luce eletrica, el bagno, el termosifon, el forno a microonde, i telefonini e tuto el resto. Ghe gera impossibile inmaginare un vivare come quelo, el ghe parèva inventà. Ghe spiegavo che, i zovani come lori che no ga visto quel mondo, sensa colpa, i se trova ne le stesse condission de un cieco nato, che no pol imaginarse un albero co le foje, parchè la so mente no lo ga mai registrà. El fato che quei come mi se ga trovà nati in un tempo diverso, come voialtri in questo, no xe altro che la vita: che camina la so strada co de le regole che i omani no sa e no pol cambiare.

 
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La nostra primavera da ragazzi, immersi nella natura al risveglio

Post n°406 pubblicato il 10 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

La nostra primavera da ragazzi, immersi nella natura al risveglio

Verso la fine de sto mese, nei ani venti del secolo passà, nel mondo dei paesi e dei campi de la Bassa, quei che col lavoro e la fadiga ne dava la possibilità de vivare, la primavera ne nasseva torno come na aparission. Qualcuno provava a descriverla – ma solo in parte – come che tento de fare anche mi, parchè se tratava de un miracolo.

Par la fine de marzo, se el tempo gera bon, le passaje drio i fossi, giorno dopo giorno se impissava de novi biancospini, a causa del sole che diventava tiepido, e le giornate limpide. Le prime rondinele volava come i s-ciantisi (saette), diseva me nono, e dentro l’aria, le imbastiva disegni che solo el sole podeva vedare e lezare. 
Anche i merli, dopo la paura de la neve, gironzolava a bassa quota e in compagnia, in serca del posto più belo par farse i novi gnari (nidi). Drio ai trami e ne le carezà, le pratoline spuntava timide, quasi paurose, ma in pochi giorni se vedeva tuto el verde ricamà de bianco. Intanto, l’odore de le stale che d’inverno faseva da paron, el se vestiva del profumo novelo de le prime viole, che lo mandàva in giro sensa farse vedare, sconte come che le gera da le foje seche de le piante vissine. 
L’aria non ancora inquinà dai novi veleni, diventava un smissioto, sensa nome, de profumi che no se pol descrivere a parole. Se assisteva, come in un gran teatro, al rinassare de la natura che pareva morta e tornava splendidamente – come diseva me nono – e no so dove el gavesse imparà sta parola, che ghe impeniva la boca, ma rendeva omagio a na verità che se vedeva coi oci e ne slargava i polmoni. E quando in un film par tutti de quel tempo: La strada nel bosco, el baritono fiorentino, Gino Bechi intonava la canson de moda co lo stesso titolo del film; la scominsiva co ste parole: «Le prime stelle in cielo / brillano già / fra i biancospini il vento/ mormora e va...». Fotografava a la perfession quel mondo nostro: i nostri campi, la nostra tera, la nostra vita.

A sto proposito, giorni fa uno del me tempo, da un Istituto par ansiani, me ga telefonà – grassie a la cortesia e a la umana pietà de na inserviente – che ga trovà el me numaro e lo ga fato telefonare. Sto amico che, dopo averme dito che quando el leze quel che scrivo de quel mondo che xe sta anche el suo, el xe contento ma ghe vien da pianzare; e alora el me domanda: «Parchè el Signore ne fa vegnere in testa sti ricordi, se no podemo più rivedare quel mondo che xe sparìo?». 
E mi, fora da ogni interpretassion (sicome me capita anche a mi); a go risposto: «Solo parchè Lo ringrassiemo ancora che el ne lo ga fato vedare». Mi me contento e spero che lo sia qualche altro. Anche mi so tornà qualche volta, e in ponta dei piè, in serca de quele case, de quela strada de tera che oltre el fosso parte par parte, gaveva ogni tanto, un palo che tegneva su i fili del telegrafo, isolà da quele che ciamavimo “le cicare” de ceramica bianca, che noialtri boce zogavimo tirandoghe i sassi; e se ne vedeva el postin che girava in bicicleta, el ne tiràva le rece. 
El ga rajon l’amico: l’è un mondo sparìo, che se portemo in cuore.

 
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di Ugo Suman La villa de ...

Post n°405 pubblicato il 10 Aprile 2014 da LIBRERIAVENETA

di Ugo Suman La villa de ...

Attenzione: apre in una nuova finestra.

 

La villa de la contessa gaveva un giardin, anzi, un brolo, che a noialtri boce ne pareva el paradiso terestre par le tante piante da fruto che ghe gera. Co rivava la stajon dei fruti i più esperti tentava de andar dentro par robare: susini, amoli, brombe e sarese, ghe ne gera da butar via. Ma el can de guardia insieme al custode no perdeva de ocio le piente, difissile schivarli. Alora i boce dei campi gaveva par mestiere fisso l'andar parte dei altri a fruti. Un pecato che se confessava e che i preti, savendo de la fame che girava e de la gola dei putei i considerava na mancansa, sensa bisogno de penitensa.

Anche parchè i fruti de la contessa, na parte vegneva magnà dai osei e n'altra parte cascava par tera marsi. La contessa rivava in paese solo qualche mese d'istà e par el so arivo, la villa gaveva tute le finestre spalancà e la corte lustra come un selese. La proprietà contava mezo mejaro de campi padovani compreso un bel toco de vale verso Ciosa, tuto diviso in boarie spampanà par la Pianura de la Bassa. La gaveva donà a la cesa parochiale, na campagnola in memoria dei genitori e, par questo, i ghe tegneva un posto riservà co l'inginochiatoio e na poltronsina rossa. Solo ne le domeniche che la gera in villa la andava a la messa granda e, sicome la gera ansiana, la stava sempre sentà fora che nel momento de la consacrassion quando i zagheti sonava el campanelo. Soto al portego de la villa faseva mostra na carossa a quatro rode co la capota che se alsava, la zente la ciamava un Landò. La contessa la usava col cocio el cavalo baio, solo poche volte l'ano: da la villa a la stassion. Par el resto del tempo i la coverzeva co un telo e i can ghe dormiva de sora. Dopo machinà el formento sul selese, che i omani diseva grande come na piassa d'armi, la faseva preparare par ma messa de ringrassiamento. Partecipava solo quei de la contrà e altri afituai o mezadri de le so tere e de so boarìe. La contessa seguiva la cerimonia da la finestra de la so camara e co la veleta in testa. Na storia che pare na favola e che ghe someja a tante altre de quel tempo e de quei paesi: gnente de particolare par quei de na serta età. Ma forse xe anche par questo che quando che sento parlare, o vedo dei libri che trata del popolo Veneto e de la lingua Veneta, che ancora no esiste, me vien na tristessa mortale. Mi go visto quelo che i vol ciamare el popolo veneto, magari solo la parte ultima, quela che forse stava za mejo rispeto ai so avi. De essare un popolo gnanche i se lo sognava, el fato stava fora da tuti i so pensieri. Se tratava de zente povareta, dominà in gran parte dai signori de Venessia, quei de le villevenete ancora in piè: quei gaveva la tera, el dominio e i schei. Tuti i altri che i vol ciamare popolo, gera contadini in gran parte analfabeti pieni de pelagra e de fioi da mantegnere. Tanta zente che gaveva vissùo o viveva ancora nei casoni col querto de paja o nei granari de le boarie dei paroni: conti, contesse, e nobili in genere, ma soratuto i paroni de la tera unica fonte de vita. La Serenissima gloriosa che ga dominà na parte de la storia del so tempo, no apartegneva al popolo. La sta un monopolio esclusivo, dei armatori, dei comercianti, dei nobili, del clero. El popolo gera come le galine che i ghe butava el bechime sul selese, par rancurare i ovi. Altro ch'el popolo veneto.[Domenica 15 Giugno 2008 Il Gazzettino]

 
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INDICE DEL BLOG

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I MESTIERI (A.SAVARIS)

de sciatori prinzipianti,

ma ogni tanto me vien l'estro

de ingessàrghene raquanti.

*

Son Febraro, gran Stilista

de costumi de ogni pano,

ma da bravo trasformista

a lavoro tuto l'ano.

*

A son Marzo, l'Ombrelaro,

ma 'sta piova inacidà

mena tuti dal stagnaro

e mi son disocupà.

*

Son Aprile e vendo vento,

ma de mi se pòl far senza

da chel dì che el Parlamento

el me fà la concorenza.

 

A son Magio e vendo fiori,

ma da quando sula Tera

a ghe xè l'efeto-sèra,

più che fiori i xè dolori.

*

A son Giugno campagnolo,

miedo al dì co' la falzina,

ma de note, co' son solo,

cargo i campi de atrazina.

*

A son Lujo, el Vagabondo,

scapo via dale cità,

par catare un fià de mondo

che no'l sia anca lu inquinà.

 

*

 

Son Agosto, el gran Bagnin,

ma col mare che ghe xè,

no' ghe meto gnanca un pié

e me tufo in t'un cadin.

*

 

Son Setembre, el Giardiniere

e rinfresco un fià l'està,

ma me basta do'.. ..Marghere

par brusare campi e prà.

*

Son Otobre e pisso vin

in social-cooperativa.

Scarpe grosse e zervèo fin:

metà "uva" e metà Iva....

*

Son Novembre, el Tabacaro

de 'sto Stato, e dago a smaca

nebia, tasse, fumo, snaro....

E ti, popolo, tabaca!

*

Son Dicembre, Spaladore

dela neve su la strada,

ma vorìa. .. .spalarghe al cuore

dele mafie de casada.

 

 

una fonte di approfondimento

 

I MIEI PENSIERI

QUESTO BLOG

L'HO INIZIATO PIANO PIANO,

MI HA PRESO SEMPRE

PIU' LA MANO.

 


 

VORREI NON AVESSE

UN FINALE,

MA UN FINE.

VORREI LASCIARVI

NEI RICORDI,

NON MIEI,

VORREI.

VIVI!!

 


 

UN ESEMPIO

 

 

 

Canzone popolare

La pègra e la mateina la bèla e la sira la bala

La me morosa

 

 

 

 

ACQUA (L'ELEMENTO PRINCIPALE)

a stago inte a bassa

Sa sbato un pié

me s-cianzo el viso.

A stago in te la Bassa.

La tera l'é aqua

l'aqua l'é tera.

Cresse el riso.

La me cà l'é bagnà.

El fango ciapa i muri

la cusina -el vien soto la tola.

Fora gh'é le cane

ca speta na bava de vento

par scrolarse.

(Passé 'nde - giré!

Mi no me movo).

Ei me mondo l'é chi.

A son ligà al Po

come na corda a la canpana.

El Po - grande o picolo -

l'é la me crose, la me tana.

Mi ghe pisso dentro.

Lu me conta tuto.

El vien zo fredo come el giazzo,

sto pajazzo, incoconà

de pàesi, canpagne, zità.

La Bassa la lo ciùcia,

la se lo tira adosso. Che missioto!

Aqua de monte o de colina

de canale o de fosso

prima de finire in mare

la se mùcia a speciare

un cielo grande assé.

A stago in te la Bassa.

L'aqua l'é cielo, el cielo l'é aqua.

 

Carlo Lezziero

 

ANCHE CON LA MUSICA E IL CANTO

 

DISPONIBILI I CD DEL GRUPPO:

http://www.bookshopro.it/documenti/shared/calicanto%2025.htm

BONIFICA EMILIANO VENETA  (BEV)

 

pensieri personali e non solo

MI TE SERÒ AMIGO (Piero Conforto Pavarin) 


Mi te serò amigo

come el vento

su la strada de baro

o la piova sul campo

ai primi de luio.

Come el can

che menando la coa

leca la man al paron

mi te serò amigo

par sempre

pur che te gàbia:

un fià de vento

de piova, o almanco

el sguardo de un can.

 

Le mie Fonti

Cante d'Adese e Po - Gino Piva - 1931

....e invezhe no! - Jani de-la-Ranpa -1984

Almanacco Veneto 1979

Omani, cépe e scupetun - Gianni Sparapan -1992

Veneto Raccont popolari - Giuseppe Consolaro - 1976

Verso l'imbrunire -Ugo Suman - 1990

QUADRETI VILANI - Angelo Savaris -1993

 La Magnifica (Magnemo inversi) - Angelo Savaris -1995

da jeri a ouquò - Gianni Sparapan - 2° ed. -2005

Do schei de morbin - Giuliano Scaranello - 1995

Foje sperse - Leone Fabbris - 1978

abecedario dei vilani - 2001

 

CO’ STA PIOVA E CO’ STO VENTO (TOC-TOC)

«

 chì che bate a sto convénto?»

«L'e 'na pòra veciarèla

che si vuole confessàre»

«Co' sta piova e ce' sto vento

no se confèssa un sacraménto!»

Ciàppeo, lìgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

 (TOC-TOC)

« Co' sta piòva e co' sto vento

chi che bate a sto convénto?»

«L'é 'na pòra verginèla

che si vuole confessàre»

«Entra, entra, verginèla

che te meno a la capèla»

Ciàppeo, ligheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

«E te ài mai tocà la ganba»

«Padre sì, ma no son stranba!»

Ciàppeo, lìgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

«E te ài mai tocà le tete»

«Padre si, i me le è anca strete!»

Ciàppeo, lìgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

«E te ài mai tocà la pansa»

«Padre si, ma co creànsai»

Ciàppeo, lìgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

«E te ài mai tocà la figa»

«Padre si, ma co fadìga!»

Ciàppeo, lìgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

«Se tu vuoi l'assolussione

 prendi in mano sto cordone!»

Ciàppeo, lìgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

«Caro Padre no son Òrba

questo é un casso e no 'na corda!»

Ciàppeo, ligheo, méÉeo in gaèra

chippeo, ligheo, méteo in presòn!

Co' sta piòva e co' sto vento

chiò restà drento 'l convénto?

L'é restà Padre Formìga

 che ghe piàse tant la figa!

Ciàppeo, flgheo, méteo in gaèra

ciàppeo, lìgheo, méteo in presòn!

 

 

E ME MARI LE BON

E me marì l'è bon

e l'è tre volte bon

e 'l sabo e la doménega

e 'l sabo e la doménega,

e me marì l'é bon

e l'è tre volte bon

e 'l sabo e la doménega

el me òn'se col baston'

E co ste cìcoe

e co ste ciàcoe

e co ste Cìcoe, Cìcoe, ciàcoe,

e co ste cicoe e Cìcoe Ciàcoe

l'é saltà fòra un ciacoeòn!

 

baston nel doppio significato di bastone e membro maschile; òn'ser, ungere;

ciòcoe, chiacchiere; lé saltà fòra, ne è nato; ciacoeòn, chiacchierone.

(spiegazione: la bontà di mio marito - rime ambigue e simpatiche)

 

RUZANTE "IL REDUCE"

arte e commedia nella storia

e con alcuni autori di oggi:

Rino Gobbi

 

 

 

 

 

 

 

9788895352312

Perpetua zovane...Casin in canonica

Commedia brillante in tre atti in lingua veneta popolana 

Dante Callegari

 
 

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