Creato da pariro2010 il 29/07/2014

ACTO 3

Varie

 

 

Latte di cammella

Post n°26 pubblicato il 20 Luglio 2016 da pariro2010

 

(...)Una serie di impronte di due persone diverse, la prima solo su bicchieri e stoviglie; la seconda sulle ante dell’armadio in camera da letto e sull’interruttore della lampada sul comodino.

 

 

 

Totale tre persone con la vittima? L’involucro della confezione del preservativo?

 

 

 

Solo parziali e quasi sicuramente appartenenti alla vittima.

 

 

 

Analcolico?

 

 

 

Arancia amara altrimenti è mal di stomaco assicurato.

 

 

 

Se beve robaccia gasata è matematicamente sicuro che le verrà a fare compagnia un alligatore dell’Orinoco incazzato, che ridurrà in brandelli tutto l’impianto, dall’esofago a tutto il resto a scendere

 

 

 

Se ne intende?

 

 

 

Le faccio portare un Mimosa.

 

 

 

Se è dolce non mi va.

 

 

 

Mimosa secco. Succo d’arancia e spumante brut con una fettina di kiwi, neppure l’ombra dello zucchero, niente ghiaccio, l’alcol lo si vede all’orizzonte, apparire come un miraggio tra le dune che non ti aspettavi tra un lago e l’altro in Lapponia al primo disgelo e i licheni mutano il paesaggio innevato in prati a primavera, renne e dromedari brucano increduli per l’abbondanza.

 

Io prenderò un Cammella alla noce per restare al fresco nell’oasi.

 

 

 

Cosa c’è dentro?

 

 

 

Latte di cammella e noci, lo si capisce dal nome.

 

 

 

E il latte di cammella dove lo prendono?

 

 

 

Mungono la cammella. Si munge come una vacca, una capra, tutti i mammiferi di genere femminile possono essere munti. La storia del bagno nel latte d’asina la conosce?

 

 

 

Si, Cleopatra, Poppea.

 

 

 

Io per la doccia uso il mio sapone perché non amo gli sprechi.

 

 

 

E’ latte di cammella, quello vero?

 

 

 

.

 

No, é una finzione. E’ come cammellare. Quando meno se l’aspetta ti pieghi in avanti, sposti il collo e imiti l’andatura del cammello. E, così cammellato, conduci chiunque dove preferisci, fisicamente o mentalmente per convincerlo che quello che dici è vero, senza dubbi né tentennamenti, ci crede, lo hai trasportato a dorso di cammello attraverso il deserto, hai pellegrinato la carovana nel percorso che tu avevi prescelto, nella maggior parte dei casi non ci si accorge del condizionamento, nessuna ribellione, nessuna voce critica, nessuna opposizione, tutti perfettamente inconsapevolmente cammellati.

 

E’ semplice latte con un’idea sgocciolata di nocino ma con molta fantasia.

 

 

 

Così mi piace, mi stavo intristendo.

 

 

 

Lo ammetto, ogni tanto mi faccio prendere dalla fantasia. Col suo collega Nicolosi ne ho anche abusato, mi dispiace.

 

 

 

Ora assaggio, poi le rispondo.

 

 

 

Aiuta.

 

 

 

Che cosa?

 

 

 

Immaginare.

 

 

 

Andare fuori tema?

 

 

 

No, sarebbe fin troppo facile. Immaginare l’impossibile per avvicinarsi alla realtà, renderla probabile, entrare nella mente di una persona mentre compie un gesto, che si sciacqui il viso, si guardi allo specchio, che fugga da un luogo lungo le scale, che dimentichi di cancellare le sue impronte ma ormai è tardi perché si è chiuso la porta alle spalle. Chi manca all’appello?

 

 

 

 

 

Ottimo, dissetante, avevo più sete che fame. C’è il segreto d’ufficio, se mi beccano mi danno in pasto alla disciplinare e non dico che mi potrebbero trasferire in Sicilia perché mi farebbero una grande cortesia, potrei finire in un commissariato di provincia a fare la passa carte.

 

 

 

Non sono un giornalista e la fantasia l’adopero per i pochi da me prescelti e mai per la locandina acchiappa polli.

 

 

 

 

 

Non la conosco, non so se posso fidarmi. Non capisco mai se scherza o fa sul serio.

 

 

 

Bene, è giusto così però assaggi le tartine, ormai ci conosciamo, sia io che loro siamo tersi e innocenti come gli occhi di un bambino che guarda in alto quando il puparo muove i personaggi, sa che là sopra c’è qualcuno ma sta al gioco e si diverte.

 

 

 

 

 

E’ vero, è una finzione ma conviene crederci, stare al gioco altrimenti si rompe il giocattolo.

 

L’ex marito ha un alibi di ferro oltre a non avere movente. Negozio aperto fino a tardi, turisti o clienti abituali ininterrottamente, almeno un centinaio oltre la commessa e il giovanotto, il fidanzato fuori ad aspettarla per accompagnarla a casa con la moto. Sestri Levante, Genova, Sestri Levante in orario di apertura. Due, forse tre ore di assenza che non sarebbe passata inosservata. Motivo? Nessuno. 

 

 

 

L’avvocato?

 

 

 

Avvocato chi? Vuole l’avvocato?

 

 

 

Io no. Dico, l’avvocato, ne sa niente di quell’avvocato?

 

 

 

Perché mettono la cannuccia? Fossimo dei picciriddi. Qui tutto scade, un cocktail perde il suo fascino, la cannuccia sminuisce la presentazione del bicchiere. Odio quando caricano troppo. E’ come quando vedi un film di scarsa categoria e, per dissimularne la pochezza, abbondano con colonne sonore smodate, esorbitanti per compensare la fragilità del linguaggio filmico.

 

 

 

Si, più o meno è la stessa cosa. L’avvocato, ci ha parlato, non so come si chiami?

 

 

 

Accidenti a te, quante ne sai. Mi scusi, pensavo ad alta voce.

 

 

 

Dammi del tu, il Mimosa resta ottimo, il Cammella è squisito, il tavolino del bar non s’è mosso, nessun terremoto in atto, la città continua a fare il suo solito baccano, ci stiamo immersi fino al collo, cosa può cambiare? La coniugazione dei verbi. Pensavo che tu ci fossi arrivata.

 

 

 

Nicolosi si, l’ha sentito ma senza approfondire, semplici conoscenti per motivi professionali.

 

 

 

E tu lo hai già incontrato? Può andarti bene, scommetto che a cocktail ne sa più di me.

 

 

 

S’è fatto tardi devo andare. Grazie per avermi incontrata e, non voglio lasciare sottintesi, la prossima volta che ci vedremo potrebbe essere in presenza di altre persone e ti prego di ritornare a darci del lei se non ti disturba.

 

 

 

Spero di non rivederti perché vorrà dire che nel frattempo avete risolto il caso. Auguri.

 

 

 

Crepi.

 

 

 

Chi?

 

 

 

Il lupo.

 

 

 

Lupi, balene, tutti a bocca aperta. Il prossimo interrogatorio, se ci sarà, in una trattoria con meno arredamenti alla moda e più sostanza, tavoli e sedie non si mangiano.

 

 

 

Non fare giri di parole. Mi stai invitando a cena?

 

 

 

Si.

 

 

 

Chiamami, il mio numero lo conosci. (...)

 

 
 
 

Signorina

Post n°25 pubblicato il 18 Aprile 2016 da pariro2010

 

 (...)

Sebbene non fosse mai capitato di avere animosità con chicchessia, è naturale che non tutti risultino affabili e simpatici al primo approccio e quel pomeriggio intorno alle sei aveva tutti a pesare sullo stomaco e se c’era un desiderio grande, era quello di finire la serata anticipando le manovre di trasformazione del divano in letto per starsene beato e idiota ad ascoltare musica, guardare la TV o familiarizzare o, per meglio dire, socializzare in rete con qualcun altro, al di là dei monti e dei mari, per sostenersi a vicenda, per rassicurarsi prima di un meritato riposo alla fine della giornata.

Un capannello di persone sotto casa era insolito e si capiva che qualcosa doveva essere successo.

A passo lento, si avvicina all’uomo di spalle per ascoltarne le parole. Traspariva mestizia e pena, più di circostanza che per dolore autentico o interesse particolare.

L’uomo parlava sottovoce  e, a fatica, si potevano udire le parole in modo distinto ma una luce lampeggiante interrompe il conciliabolo condominiale,  poco più che vecchi conoscenti per avere usato quotidianamente le stesse scale e il medesimo ascensore.

Solo poche frazioni di sillabe che però non possono essere fraintese.

 

Quanti anni aveva?

 

Cinquanta.

 

No, era più giovane, quaranta, quarantacinque.

 

Il verbo al passato pronunciato in modo enfatico,  poteva confondersi con la nostalgia di chi l’aveva conosciuta quella persona quand’era in vita ma non in questo caso.

Quelle poche parole generavano un forte sospetto tra il pettegolezzo e il perdono nei confronti di chi non poteva più ribattere alle accuse.

Che la signora o meglio signorina trovata cadavere nel letto professasse il puttanesimo, nessuno aveva mai dubitato anche se, avendone la libertà di farlo, non si daranno mai pace questi intriganti  liberi da pena umana, che ognuno in casa propria fa ciò che vuole o desidera, in questo caso era fin troppo chiaro che non molestasse bambini o animali e che ognuno pratica il buon costume adatto al gusto personale, la cotognata è aspra ma esiste chi la trova dolce, adatta al suo palato. (...)

 
 
 

Racconto breve numero 2

Post n°24 pubblicato il 02 Marzo 2016 da pariro2010

Il caffè ristretto al tavolino è un piacere quasi pari a quello di portare le brache corte senza indossare le mutande e te ne dai conto quando, vista la giornata extra estiva, la brezza premia la tua pazienza regalandoti un refolo che mai ti aspetteresti così improvviso.

 
 
 

Racconto breve

Post n°23 pubblicato il 29 Febbraio 2016 da pariro2010

Mancava in quelle tre stanze il tocco di una donna e si notava come, al posto di una scatola colma di lucido da scarpe, sarebbe stato più gentile e famigliare, trovare una spazzola per capelli, il profumo di un noto stilista, uno scrigno strabordante di collane e braccialetti e tutto il luna park di accessori per farsi la ceretta.

Unico segno di presenza femminile era rappresentato da un elastico colorato per raccogliere i capelli, dimenticato da una che, nella fretta di tornarsene a casa dal marito sicuro e stanco, aveva lasciato i capelli sciolti sotto il casco per andare in moto.

 
 
 

Flauto traverso

Post n°22 pubblicato il 23 Novembre 2015 da pariro2010

(...) Nessuno, neppure il più abile e attrezzato imbianchino riuscirà a cancellarne i ricordi, qualsiasi tonalità di colore possa usare e ogni volta, a documentarne l’esistenza, salire per questi scalini, sarà come sbatterti in faccia la storia vissuta e una buona dose di fosforo per il cerebro critico dormiente.

Niente, neanche il minimo segno accende i miei sospetti. Un assassino non usa l’ascensore per fuggire dal luogo del crimine. Oppure si, lo usa ma il più silenziosamente possibile. Ovvio.

Meno scontato invece sarebbe se il colpevole, in preda al panico, non fosse riuscito a mantenere la freddezza necessaria per restare inosservato. E’ un vecchio impianto, la cabina è costruita in legno

di noce massello, le porte sono a chiusura manuale, il motore, installato nel vano sottotetto, trasmette il rumore dei comandi impartiti alla tastiera in ottone e ad ogni partenza e per ogni fermata, lo stacco è sottolineato in modo evidente e riconoscibile.

Al terzo piano abita la famiglia Cecchini, miei vicini verticali, i migliori, perché stanno sotto per mia grande fortuna. Moglie, marito e figlia trentenne, estremamente socievoli e socialmente silenziosi e utili al prossimo come il sacchetto e la paletta..

Insegnanti in pensione, danno ripetizioni ai ripetenti che ripetono fino a saperla a memoria.

Materia scientifiche lui, umanistiche lei. La ragazza, una via di mezzo tra la miss Italia candidata alle elezioni e la comparsa nei Nibelunghi, scudo e spada. E’ diplomata al Paganini, pianoforte e clavicembalo temperato. Però un giorno mi ha detto che non disdegna il rock, quello che ascolto di solito negli orari plausibili per tenere la manopola del volume a metà strada tra la filodiffusione ad alto volume al bar del grande magazzino e l’attacco dirompente dei Quadri ad una esibizione omogeneizzati e digeribili anche per i digiuni, alle astensioni di Musorgskij dall’alcol e ai tic nervosi di Palmer, Lake & Emerson. Mi ha detto quel giorno che ne avrebbe eseguito alcuni brani alla Balakarev, solo piano per persone colte,  analcoliche e insonni.

Le avevo chiesto se avesse potuto suonare anche il mio preferito, tra molti altri preferiti, Una notte sul Monte Calvo dello stesso autore, e, contemporaneamente, da parte mia, dare una rispolverata alla versione dei Nuovi gnomi Trolleggianti, così, per prendere un po’ di colore, un segno di vita, un guizzo spontaneo incontrollato tra le ciglia chiare e le sopra ciglia selvagge.

Non le proposi la Bouree di Bach con i Jethro seminatori Tull sul palco per non rischiare di confondere il sacro col profano, un genio con un altro genio, una chitarra classica con un flauto traverso sputacchiera e bestemmiatore, troppe emozioni, desideri delibati e insoddisfatti.

Troppo giovane per invitarla a cena e abbastanza matura per cercarsi un uomo che le faccia da traino in montagna o che le regali gli occhiali da sole per riparare la vista dal luccichio abbagliante del sole durante una gita in barca in navigazione nella sinfonia dello strumento consapevolmente accordato per l’orecchio umano, il rumore del mare. (...)

 
 
 
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troppo buona ma detto da te mi fido :-)
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il 03/03/2016 alle 11:51
 
che bello il tuo modo di descrivere... vedi le immagini...
Inviato da: demanding
il 02/03/2016 alle 23:50
 
surreale e, per metafora, sognante. grazie.
Inviato da: pariro2010
il 02/03/2016 alle 12:01
 
Veramente molto carino. Te ne lascio uno ancora più breve...
Inviato da: demanding
il 02/03/2016 alle 11:45
 
 

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